Perché non bisogna eliminare le sanzioni contro la Russia

Sul blog di Beppe Grillo Fulvio Scaglione sostiene una posizione sulla Russia molto popolare in Italia. In nome del pragmatismo, chiede che le sanzioni europee contro Mosca vengano eliminate al più presto, per due ragioni: i danni arrecati alle imprese italiane fin dal 2014 e l’interesse a collaborare con Mosca nella lotta contro il terrorismo islamico, in particolare in Medio Oriente. Insomma, senza le sanzioni europee, le relazioni UE-Russia riprenderebbero a fiorire.

Questa tesi attraente – presentata come una panacea per le relazioni Russia-Europa – è in realtà molto meno pragmatica e interessata al ‘bene’ dell’Italia di quanto sembri. Il problema, infatti, è che anche nonostante la tragicità dell’attentato dello scorso 3 aprile a San Pietroburgo, bisogna distinguere due questioni: la sanzione non è una soluzione alla cooperazione nè necessariamente la esclude. Eliminare le sanzioni alla Russia porterebbe al nostro paese molti più danni che benefici. Si, i rapporti commerciali con la Russia migliorerebbero. Ma la posizione internazionale dell’Italia diverrebbe molto più isolata; i rapporti politico-diplomatici con molti dei nostri principali alleati verrebbero danneggiati; la crisi ucraina rimarrebbe irrisolta. Infine, riprendendo a dialogare come se nulla fosse con Mosca, noi avremmo di fatto accettato come normale e legittimo l’uso della violenza per cambiare i confini territoriali di uno Stato sovrano (che è quanto ha fatto la Russia in Crimea, per quanto Scaglione sembri dimenticarsene).

La prima questione è che più passa il tempo e più le implicazioni del conflitto nel Donbass e dell’annessione russa alla Crimea si fanno complesse e le probabilità di una risoluzione rapida diminuiscono. L’Italia non può quindi realmente aspettarsi che singole iniziative unilaterali nei confronti della Russia – tra tutte l’eliminazione delle sanzioni – rappresentino delle soluzioni efficaci. È invece costretta a bilanciare i diversi interessi in gioco, considerando le priorità nazionali, valutando quali sarebbero le conseguenze delle proprie decisioni sulle relazioni con l’UE e con gli USA, e alla fine, piaccia o no, optando per il male minore.

In questo senso, le ricadute negative della crisi sulle imprese italiane, purtroppo, non possono prevalere sugli impegni e gli interessi economici dell’Italia in quanto membro dell’Unione Europea. La priorità assoluta italiana resta quella di cercare, con gli altri paesi dell’UE, una soluzione comune pacifica e di lunga durata alla crisi con la Russia e alla situazione in Ucraina. Inoltre, l’Italia non può rischiare di minare le relazioni con molte altre nazione europee in nome di un riavvicinamento a Mosca, visto che – tra l’altro – le relazioni commerciali italiane con i paesi europei superano, e di molto, i legami economici con la Russia.

Scaglione sottolinea poi, come molti, che le sanzioni andrebbero eliminate perché ad oggi non hanno portato la Russia a modificare nulla della sua posizione. Anche se è vero che le sanzioni non hanno restituito la Crimea all’Ucraina, il punto non è questo.

La forza delle sanzioni, il loro significato, non dipende tanto dalla capacità effettiva e immediata di far tornare sui propri passi la nazione colpita (è uno strumento di pressione, non un esercito). Le sanzioni sono innanzitutto una forte denuncia, comune e condivisa, della comunità internazionale. Si può quindi eventualmente contestare la decisione originaria europea e americana di rispondere all’annessione russa della Crimea in questa maniera ma, una volta che sono entrate in vigore, le sanzioni non possono essere ritirate senza ricevere nulla in cambio, perché ciò significherebbe il definitivo fallimento della politica europea, la perdita di ogni sua credibilità, l’inutilità di ogni azione comune.

Non possiamo poi dimenticare la gravità, l’inammissibilità dell’annessione unilaterale di un territorio, di un’intera penisola di uno Stato da parte di un altro nel mezzo dell’Europa e violando precisi vincoli internazionali. Il riconoscere che la Russia è potenzialmente un partner importante, strategico nella lotta contro il terrorismo non significa che l’Italia possa ‘chiudere un occhio’, come se niente fosse successo, di fronte agli eventi in Crimea e nel Donbass. Se è il nazionalismo a motivare la proposta di levare le sanzioni alla Russia, allora forse è importante capire cosa si intende per nazionalismo, perché molti risponderebbero che la nazione che hanno in testa e di cui sono fieri è uno Stato che antepone alcuni valori fondamentali ed esistenziali, come l’integrità dei confini statali europei, agli interessi del singolo.

Fin dall’inizio, nella gestione della crisi tra Russia e Occidente gli errori sono stati molti, da entrambe le parti. L’Italia, grazie al suo tradizionale rapporto privilegiato con la Russia, può ancora fare la differenza nelle negoziazioni, e ha la responsabilità di far prevalere insieme ad altri paesi il pragmatismo e l’interesse a una soluzione pacifica, rifiutando posizioni fortemente ideologiche, populiste ed ovviamente anche quelle apertamente russofobiche.

Ma due cose devono essere chiare: sanzioni o non sanzioni, è Mosca che deve fare il primo passo, mostrando che un margine per il dialogo c’è e, soprattutto, che è disposta a negoziare almeno qualcosa. Infine, e in generale, la tesi dell’indulgenza non ripagata, del ‘passiamoci sopra’, in politica estera non è sempre sinonimo di pragmatismo. Nel caso specifico è piuttosto un aperto, e comodo, atto di deresponsabilizzazione al posto di una, più complessa, visione dell’interesse nazionale.

 

Carolina De Stefano

Dottoranda Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, visiting researcher Università di Varsavia e National Research University Higher School of Economics di Mosca.

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