Di Annalisa Perteghella e Erik Burckhardt
A dispetto di quanto lascerebbe intendere la calma e il sostanziale disimpegno con cui i dirigenti del Partito Democratico sembrano prepararsi alla sfida, non resta molto tempo. In vista delle elezioni europee 2019, la missione dei progressisti europei è vitale e passa dalla capacità di formare in pochi mesi un’alleanza sufficientemente ampia e solida, da Tsipras a Macron, per rompere il filo spinato tracciato dall’internazionale populista.
Steve Bannon, l’ideologo della destra identitaria americana le cui idee hanno avuto un ruolo chiave nell’elezione di Donald Trump, ha dichiarato in un’intervista che avrebbe intenzione di creare una fondazione, antitetica alla Open Society Foundation di George Soros, allo scopo di generare una “rivolta di destra” in tutta Europa. Scopo ultimo de “Il movimento”, questo il nome della fondazione, sarebbe espugnare il parlamento europeo in occasione delle elezioni del prossimo anno per cambiare alla radice la politica del nostro continente.
Per quanto in apparenza possa sembrare paradossale il fatto che il propagatore di ideologie sovraniste e nazionaliste miri a creare una ideologia transnazionale, una sorta di “internazionale populista”, tale fenomeno non è in realtà una novità, né è inspiegabile.
Espulso – almeno a livello ufficiale – dal sistema politico americano, dove era arrivato a ricoprire il ruolo di consigliere di Trump, Bannon vede nel nostro continente un terreno fertile per far attecchire il proprio messaggio.
Già nelle scorse settimane Bannon ha soggiornato in Italia, a Milano, dove avrebbe avuto un colloquio con Matteo Salvini. Non sembra dunque essere un caso il riferimento alla “Lega delle leghe”, annunciata a Pontida, che il leader della Lega mira a costituire per esportare in Europa l’ideologia del proprio partito.
Sembra la sceneggiatura di un film d’azione, in cui una malvagia confederazione di forze trama nell’ombra per conquistare il pianeta. Non è però un film; quella che vediamo dipanarsi sotto i nostri occhi giorno dopo giorno è la realizzazione di un progetto sistematico di frantumazione dell’unità occidentale nei suoi capisaldi: l’alleanza transatlantica, l’Unione europea e in generale la comune fede nella democrazia liberale e nel suo sistema valoriale.
Se quello di Bannon fosse un progetto isolato, il semplice sogno di un folle, non dovrebbe destare preoccupazioni. È però invece un fenomeno che non bisogna sottovalutare, in parte perché si instilla in un contesto – quello europeo – in cui veramente esiste un terreno fertile composto dalle forze nazionaliste, generalmente chiamate populiste, all’interno di diversi paesi europei; quello che serve loro per fare il “salto di qualità” è probabilmente l’organizzazione, la sistematizzazione: proprio ciò che Bannon dichiara di voler fare. E che noi dobbiamo impedire.
Lo sviluppo dell’antidoto passa per l’analisi del virus, che in questo caso è forse possibile assegnare alla famiglia dei “movimenti reazionari” che tante volte nella storia hanno contrastato forme d’innovazione politica, sociale, artistica o culturale. Esiste infatti un filo rosso che collega Orban a Salvini, Trump a Putin, il beneficiario ultimo della disgregazione dell’unità europea e dell’allentamento del legame transatlantico. Un filo rosso che, in definitiva, appare più come un filo spinato volto ad arrestare il processo di affermazione di un ordine multipolare che sia in grado di raggruppare gli interessi delle varie aree continentali e che inglobi, per la prima volta, anche il continente africano e l’America latina. Salvini ed Orban, Le Pen e Farage vi si oppongono in nome delle loro Nazioni, nascondendo tuttavia (forse anche a sé stessi) che così facendo indeboliscono ogni speranza di tutelare gli interessi delle società europee, che tornano a indebolirsi attraverso un crescente confronto tra di esse, trascurando il compito di unirsi e di prepararsi a sfide bene più ardue con i giganti emergenti. Trump e Putin, il cui incontro di Helsinki ha fatto crollare definitivamente qualsiasi dubbio riguardo questa nuova special relationship, intendono invece riabilitare una divisio mundi, un ordine bipolare, che tanti danni ha arrecato alla storia contemporanea.
Quello che è accaduto in seguito al discorso di Helsinki però ci dice molto circa le prospettive future: Trump, tornato in patria, è stato costretto a ritrattare gli aspetti più controversi delle proprie dichiarazioni, in particolare quelli relativi all’interferenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016. Segnale del fatto che la democrazia americana, per quanto potere possa affidare nelle mani del presidente, ha in sé i semi della resilienza. Prova di questo è anche la sostanziale differenza nel tono e nel contenuto delle domande poste dai giornalisti americani durante la conferenza stampa di Helsinki rispetto a quelle poste dai colleghi russi. Le istituzioni quali la libera stampa, il sistema di checks and balances, il mero fatto che i congressmen repubblicani (per quanto “deboli” nei confronti di Trump) devono comunque rendere conto al proprio elettorato per essere rieletti, sono sistemi di salvaguardia che lasciano sperare che l’anomalia Trump possa scalfire ma non distruggere il sistema di cooperazione internazionale.
Da questo lato dell’Atlantico, per contrastare le forze reazionarie che ignorano o rifiutano ogni evoluzione geopolitica anche al costo di condannarci all’irrilevanza, non basta rispondere facendoci inghiottire da miraggi utopici. Occorre affacciarsi all’inarrestabile progresso sociale e geopolitico con ottimismo, ma anche con responsabilità, per provare davvero a costruire un ordine in grado di governare le nuove realtà globali e offrire così le necessarie rassicurazioni e protezioni per i cittadini.
Per questo è indispensabile un ruolo proattivo dell’Unione europea che, pur con molti limiti, rappresenta senz’altro il modello più avanzato d’integrazione regionale. Bannon, così come Putin, sanno, tuttavia, che il punto di forza dell’Unione europea – la pluralità – ne rappresenta anche il potenziale punto debole – la diversità di vedute e la difficoltà a trovare un accordo, anche quando la necessità di riforma è urgente.
Le elezioni del prossimo anno per rinnovare il Parlamento europeo disegneranno il volto dell’Europa negli anni più centrali e sensibili della vita di coloro che scrivono e di tutta la loro generazione. L’auspicio è che le forze europeiste all’interno dei singoli paesi europei tornino a farsi sentire e a trasmettere un messaggio di vivace fiducia per un modello federativo o “simil-federativo” come miglior strumento per garantire la protezione degli interessi, particolari e comuni, nei confronti dei terzi.
La “Lega delle leghe” sarà senz’altro classificata dalla storia come un vano esperimento reazionario. Tuttavia, non sarebbe la prima volta che esperimenti di questo tipo vengono ricordati soprattutto per il prezzo di instabilità e sofferenze che intere generazioni dovettero pagare per riparare ai danni generati e rimettersi sui binari dello sviluppo.