Il Parlamento europeo ha appena eletto David Sassoli, membro del Partito Democratico e del gruppo dei Socialisti e Democratici, alla carica di nuovo presidente del Parlamento europeo. La plenaria di Strasburgo si è espressa con 345 voti a favore di Sassoli, mentre il candidato del Gruppo dei Conservatori e Riformisti Jan Zahradil ha ottenuto 160 voti e la verde Ska Keller 119. L’elezione di Sassoli restituisce all’Italia una delle cariche apicali dell’Unione europea, dopo la Presidenza del conservatore Antonio Tajani di Forza Italia appena conclusa. Il Parlamento potrebbe anche rimettere in discussione l’accordo appena concluso dai Capi di Stato e di governo, che ha portato alla proposta della Ministra della difesa tedesca conservatrice Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea, alla nomina della francese Christine Lagarde, attualmente al vertice del Fondo Monetario Internazionale, come candidata alla guida della Banca Centrale Europea (BCE), all’elezione del liberale belga Charles Michel a Presidente del Consiglio europeo e dell’Eurosummit, e alla nomina del socialista spagnolo Josep Borrell come candidato alla carica di Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vice Presidente della Commissione europea.
Chi sono i vincitori e i vinti del valzer di nomine per la prossima leadership europea? Sicuramente tra i vincitori dobbiamo annoverare il Presidente francese Emmanuel Macron, deus ex machina del patto, che conquista il tassello della BCE e piazza un leader amico alla presidenza del Consiglio europeo. Rinsalda anche l’asse con la Germania, confermando il motore franco-tedesco alla guida dell’Europa, anche se indebolito dalle crisi interne dei due governi. Le difficoltà di Angela Merkel sono parse evidenti sia quando il Partito Popolare Europeo si è espresso contro il cosiddetto “compromesso di Osaka” raggiunto a margine del G20, che avrebbe visto il socialista Frans Timmermans alla guida della Commissione europea, sia quando la Cancelliera ha dovuto astenersi nella votazione del 2 luglio a causa dell’opposizione interna alla coalizione di governo da parte dell’alleato SPD. Al binomio di testa si unisce ora anche la Spagna, associata alle negoziazioni fin dall’inizio.
I primi tra gli sconfitti sono i paesi di Visegrad, che si sono opposti al patto tra i grandi e in particolare alla presidenza di Timmermans, considerato ostile anche per la battaglia a tutela dello stato di diritto condotta durante la sua vicepresidenza alla Commissione europea nella passata legislatura. Questi paesi non ottengono nessun tassello della leadership europea. La stessa fine rischiava di farla l’Italia, che si è schierata con il blocco di Visegrad contro l’accordo franco-tedesco, apparentemente in contraddizione con i suoi stessi interessi strategici. Una Commissione europea guidata da Timmermans sarebbe stata senz’altro più in linea con le priorità italiane in materia di flessibilità sui conti pubblici e solidarietà nella gestione della questione migratoria. L’elezione di David Sassoli al Parlamento europeo restituisce all’Italia un posto al sole, nonostante il posizionamento diplomatico fallimentare nei negoziati da parte del governo. All’Italia potrebbe spettare anche un posto di vicepresidenza alla Commissione, ma il portafoglio è ancora incerto.
I negoziati hanno anche spazzato via la procedura dello Spitzenkandidat, inaugurata soltanto alle precedenti elezioni del 2014 con l’obiettivo di accorciare le distanze tra i cittadini e le istituzioni e di stabilire un collegamento più diretto tra il voto espresso dagli elettori e l’agenda politica europea attraverso la selezione del candidato alla presidenza della Commissione da parte delle famiglie politiche europee già in fase di campagna elettorale. Manfred Weber, candidato dei popolari, sembra essere destinato alla magra consolazione di succedere a Sassoli alla guida del Parlamento europeo nella tradizionale staffetta tra socialdemocratici e conservatori tra due anni e mezzo. Il condizionale è d’obbligo perché spetterà al Parlamento europeo convalidare l’accordo siglato dagli esecutivi sul Presidente della Commissione a metà luglio, e non si escludono sorprese che potrebbero rimettere in discussione l’intero pacchetto di nomine. Serpeggia un grande malumore tra i socialisti e democratici, in particolare nella SPD, e tra i Verdi, e le indicazioni di voto potrebbero essere disattese. Inoltre, il Parlamento europeo potrebbe voler rivendicare un ruolo per contrastare lo spostamento dell’asse politico verso il Consiglio europeo e per riaffermare i suoi poteri in materia di nomina del collegio del commissari.
Dalle votazioni per la presidenza e dalle anticipazioni di voto per il Presidente della Commissione è già emersa tuttavia una spaccatura tra le forze politiche che comporranno la maggioranza pro-europea: socialisti e democratici, popolari, liberali e verdi. Questo non fa ben sperare sulla possibilità dei diversi gruppi di convergere su un’agenda comune per la riforma dell’Unione, chiaramente chiesta dai cittadini alle urne lo scorso maggio per la prossima legislatura. E in effetti esistono importanti differenze tra le posizioni politiche di questi partiti in materie come la governance economica, la gestione delle migrazioni e il cambiamento climatico che rendono particolarmente difficile un accordo su un’agenda ambiziosa di cambiamento. Tale cambiamento non sarà poi sicuramente favorito dalla rigorista conservatrice von der Leyen alla Commissione. Potrebbe essere questo il rischio più grave e un potenziale assist alle forze euroscettiche e populiste di destra per un rafforzamento alle prossime elezioni.
Il destino dell’Unione dunque non è ancora compiuto, ma la legislatura è iniziata in salita. Occorre considerare gli elementi di fragilità mostrati dal sistema politico europeo e porvi rimedio per ristabilire un rapporto fiduciario e rilanciare un nuovo patto con i cittadini.