Isis, terrorismo, jihad. Sono parole che ricorrono continuamente nei nostri discorsi e che sembrano piovute su questi anni Duemila dal nulla, come un fenomeno di folli manovrati dal demonio. Invece anche il fenomeno del terrorismo islamico è frutto della storia e della politica di potenza. E analizzare il comportamento del Califfato senza tenere conto di cosa lo ha generato e di chi lo alimenta significa imboccare la strada della demagogia e spingere la politica nella direzione sbagliata.
Sono questi i ragionamenti che ho fatto quando ho iniziato a scrivere “Il terrorismo spiegato ai ragazzi”, (Imprimatur). Se noi adulti non ci ricordiamo l’origine delle divisioni attuali, come faranno a conoscerle i giovani? Se chi legge i giornali tutti i giorni fa fatica a collegare i ribassi del prezzo del petrolio con la guerra all’Isis, come farà a spiegare le cause del terrorismo ai propri figli?
Non si tratta di rassicurarli sulla vittoria dei buoni sui cattivi, non siamo in grado di stabilire quando finirà l’epoca del terrore né di distinguere nettamente il campo dei buoni da quello dei cattivi. Possiamo affermare però che non è la prima volta che ci troviamo di fronte a un fenomeno storico di inaudita violenza. Solo per citare gli eventi del secolo scorso, ci sono state due guerre mondiali, due genocidi in Europa (ebrei e bosniaci), almeno uno in Africa (tutsi) e in Medio Oriente (armeni) e almeno due in Asia (khmer rossi e timoresi). Seppur tragici, quei momenti sono passati e la strage è finita. Succederà anche con il terrorismo islamico, ma più ci impegneremo a capirlo e prima lo sconfiggeremo. È l’opinione pubblica globale che deve essere cosciente di cosa dà forza ai jihadisti per influenzare la politica ad agire nel modo più efficace. Per questo motivo è fondamentale che i giovani sappiano cosa sta succedendo, perché sono loro che devono cambiare rotta rispetto a quelle politiche di potenza che hanno distrutto il Medio Oriente. Trovare un cattivo, per i giovani, è quasi un’esigenza, serve ad allontanare il timore. Ma per fermare i crimini di guerra o i crimini contro l’umanità non basta arrestare un assassino, bisogna piuttosto trovare quei compromessi che permettono di fermare il fuoco in modo stabile.
“Il terrorismo spiegato ai ragazzi” parla di al Qaida e Isis a partire dai protagonisti di questi fenomeni, jihadisti arabi e foreign fighters, e delle diverse motivazioni che li spingono a lottare. Risale alle origini della retorica dello scontro di civiltà e ricorda che i combattenti stranieri non sono nati con lo Stato Islamico, ma con la guerra contro i sovietici in Afghanistan e con quella d’Algeria contro i francesi. Racconta chi era Bin Laden, e come abbia lanciato la lotta contro gli infedeli gridando alla vendetta per le ingiustizie subite dai palestinesi in Terra Santa. Spiega l’attacco di novembre 2015 a Parigi e quello della primavera 2016 a Nizza analizzando gli obiettivi dello Stato Islamico e descrive la battaglia in corso tra il Califfato e al Qaida.
Si combatte per motivi che poco hanno a che fare con la religione, ma una certa interpretazione della religione viene sfruttata dai terroristi per alimentare l’odio verso chi la pensa diversamente da loro. I motivi che spingono i jihadisti a combattere, uccidere e uccidersi, sono un mix tra ragioni antiche e interessi di potere che mutano di giorno in giorno. Una miscela di guerre geopolitiche e battaglie per la sopravvivenza. Per capire meglio come ragionano i terroristi ho creato due personaggi di fantasia: due jihadisti che combattono in Siria e in Libia. Ahmed il saudita è un agente di propaganda di Isis e Omar l’algerino è leader di una cellula di al Qaida. Attraversando la loro vita si scoprono le attività che alimentano un’organizzazione combattente e il modo in cui un ideale religioso viene sfruttato per tenere in piedi un sistema di potere. La speranza è quella di fornire ai giovani gli strumenti per interpretare il mondo che li circonda. E, in prospettiva, di creare un’opinione pubblica consapevole che sappia indirizzare i suoi governanti verso scelte sensate, che rendano inutile il ricorso alla violenza.