È molto probabile che gli esiti delle elezioni in Germania vengano decisi nelle ultime settimane di campagna, complici le incertezze causate dall’aumento di infezioni e le vacanze estive. Ciò che è però chiaro fin da oggi è che la prossima coalizione di governo richiederà con ogni probabilità lunghe negoziazioni per vedere la luce, specialmente se si renderà necessario un accordo a tre. Già nel 2017 si era assistito a complesse contrattazioni fra CDU, Verdi e Liberali (FDP) nel tentativo di formare un governo alternativo alla grande coalizione fra cristianodemocratici e SDP. I liberali guidati da Christian Lindner ebbero vita molto difficile per aver rifiutato una possibile partecipazione di governo, e se non fosse stato per il soqquadro economico e le restrizioni delle libertà civili causate dal Covid, è interamente plausibile che il partito avrebbe perso parecchi consensi a questa nuova tornata.
Benché tutti i partiti abbiano un interesse a non rischiare l’irrilevanza politica a cui sono stati condannati i liberali a livello federale, è comunque difficile credere che la formazione del prossimo governo non sarà altrettanto combattuta. A settembre i tedeschi dovranno infatti scegliere molto più che il successore di Angela Merkel alla cancelleria. Il voto per questo o quel partito, così come le derivanti costellazioni di governo, andranno a delineare il consenso sul modello socioeconomico preferito dai cittadini nell’epoca post-pandemica, con un occhio di riguardo su crisi climatica e instabilità globale. Tutte le formazioni politiche hanno infatti proposto modelli nettamente diversi per superare lo status quo, enfatizzando aspetti diversi della transizione ecologica e della modernizzazione economica tedesca.
L’agenda di riforma più omnicomprensiva è indubbiamente quella dei Verdi. Complice una nomenclatura di partito pescata direttamente dagli ambienti accademici e dai ceti professionali, i Grüne hanno arricchito il loro programma con iniziative estremamente precise e volte a reindirizzare vigorosamente la direzione dello sviluppo economico tedesco. Il risoluto piano per completare la Energiewende¸ la transizione energetica, esclude qualsiasi compromesso o passo intermedio, esigendo una totale decarbonizzazione da qui al 2040. Unito a un ambizioso piano di investimenti e di redistribuzione volto a compensare le classi meno abbienti dei costi della transizione, il programma dei Verdi rappresenterebbe un importante cambio di passo per il sistema economico tedesco. Si parlerebbe di un passaggio da un’economia basata primariamente sull’export a una governance più attenta ai consumi interni, un passaggio fondamentale per sopperire alla levitazione dei costi industriali dovuti a carbon tax, elettrificazione e pesanti programmi di R&D.
Un approccio simile è condiviso dai socialdemocratici, che a differenza dei Verdi sembrano più orientati a un modello di concertazione industriale, puntando all’interesse delle grandi industrie (specialmente automobilistiche) ad anticipare gli obiettivi governativi, come il divieto di produrre macchine a benzina, diesel o ibride dal 2030. Il vantaggio socialdemocratico è rappresentato dalle azioni del partito al governo, dove da qualche mese prova a dimostrare le proprie credenziali ambientali con feroci critiche al partner CDU. Un esempio è stato l’ammodernamento della legge sulle rinnovabili, creata agli inizi del 2001 e chiave della Energiewende tedesca. Analogamente, l’SPD cerca anche di sfruttare le proprie competenze in politica estera, intestando al ministro Scholz il successo delle negoziazioni su una tassazione minima globale e al ministro del lavoro Hubertus Heil la nuova Lieferkettengesetz¸ imponendo alle aziende tedesche di garantire un minimo di due diligence umanitaria ed ambientale lungo la propria catena del valore estera.
Il partito che ha più difficoltà nell’affermare una convincente agenda di cambiamento è la CDU/CSU. Ultimo partito ad aver presentato il programma, l’Union sconta la contraddizione di essere una formazione favorevole allo status quo ma con la reputazione da buona gestrice di crisi. Che la catastrofe climatica richieda cambiamenti radicali ha messo i due partiti in difficoltà, producendo un piano piuttosto scarno e spoglio di dati precisi. È da anni che i notabili del partito temono che i divieti proposti dai partiti progressisti possano danneggiare la competitività delle industrie tedesche all’estero, mentre gli investimenti espansivi proposti dai socialdemocratici non sono riconciliabili col rigore fiscale della schwarze Null. Il partito si oppone quindi a buona parte delle misure qua descritte, con l’eccezione di misure già previste dal governo (come un lento aumento del prezzo della CO2) e puntando sull’innovazione e lo sviluppo di tecnologie industriali meno inquinanti. Punto interessante è il ruolo che per i conservatori dovrebbe giocare l’idrogeno nella transizione ecologica tedesca. Accettando l’idrogeno blu (cioè prodotto tramite gas e petrolio) come una tecnologia-ponte verso un’ulteriore diminuzione delle emissioni, la CDU conta di poter muovere il paese verso la decarbonizzazione senza metterne in discussione l’architettura economica esistente.
Ed è proprio la diversità di queste visioni che renderà parecchio dolorosa la formazione di una nuova maggioranza. Le concessioni in ambito negoziale saranno difficilmente tollerate dalle basi dei partiti, dando forse un vantaggio a quei leader con una maggior capacità di sedare le rivolte nelle proprie stesse strutture (qualcosa che sembra attualmente mettere in difficoltà soprattutto la CDU). Resta da vedere quale risultato riusciranno a negoziare i tre principali partiti.