Green Pass e undocumented migrants: Amici Nemici

Green Pass

Da quando il regolamento sulla certificazione digitale COVID dell’UE è entrato in vigore il 1° luglio 2021, diversi Stati membri hanno utilizzato i certificati vaccinali per determinare l’accesso ai servizi e agli spazi pubblici. Si tratta di un modo valido ed efficace per spingere alla vaccinazione coloro che ancora esitano, ma rischia di accentuare l’esclusione sociale di coloro che riscontrano difficoltà nell’ottenimento del vaccino, come i migranti privi di documenti. Questi ultimi costituiscono parte integrante della nostra società, talvolta in veste di lavoratori purtroppo non regolari, e la loro condizione è spesso dovuta a motivazioni che sostanzialmente giustificano il loro status quali ad esempio l’abbandono necessario e improvviso del proprio Paese d’origine. Spesso, per queste persone, la vaccinazione costituisce di per sé una sfida e al contempo un rischio.

La condizione di undocumented migrants non consente di dotarsi di un social security number, un documento di identità nazionale o, in alcuni casi, la prova di un indirizzo di casa, ossia i requisiti comuni per ottenere il vaccino per il Covid-19. Inoltre, gran parte dei paesi europei offre a tali persone un contesto di accesso estremamente limitato all’assistenza sanitaria. E anche laddove venga consentito registrarsi per la vaccinazione, l’assenza di una politica specifica che salvaguardi i dati personali dei migranti senza documenti dall’essere trasmessi alle autorità di immigrazione, aumenta il rischio di esposizione di questi ultimi all’espulsione anche solo accedendo al servizio sanitario.

Un ulteriore fattore da considerare è la possibilità che le persone senza documenti che riescono a ottenere la vaccinazione non sempre possano ottenere una certificazione COVID digitale. Un primo ostacolo è costituito dal limitato accesso dei migranti alla tecnologia necessaria per ottenere o visualizzare un certificato digitale.  Un altro è rappresentato dal fatto che le stesse banche dati sanitarie potrebbero non permettere agli undocumented migrants di ottenere i certificati digitali. In Italia, il codice rilasciato per gli “Stranieri Temporaneamente Presenti (STP)”, usato per ottenere assistenza sanitaria, non è sempre riconosciuto dal Ministero della salute come valido per ottenere il “Green Pass” necessario per accedere a una serie di spazi e servizi pubblici, compresi i luoghi di lavoro e il transito pubblico. Vi sono poi casi in cui si verificano problemi di comunicazione tra il servizio regionale e quello nazionale tali per cui il codice STP non viene comunicato al Ministero rendendo i migranti impossibilitati alla prenotazione della vaccinazione e al conseguente ottenimento della certificazione verde. Il problema riguarda anche chi per esempio è in Italia da meno di tre mesi e che non può dunque ottenere il tesserino STP. In questi casi, spesso viene consentita la vaccinazione perché molte regioni concedono a tutti l’accesso al vaccino, ma non è garantito l’ottenimento del Green Pass.

Un ulteriore fattore da considerare è legato alle preoccupazioni per la protezione dei dati e i controlli sull’immigrazione che possono dissuadere le persone senza documenti dal registrarsi per il certificato. Questo infatti complica il panorama dimostrando che anche quando ci sono chiare salvaguardie in atto, le violazioni della sicurezza dei dati possono alimentare le paure esistenti e dissuadere le persone dall’ottenere il certificato. Della stessa natura sono le preoccupazioni legate all’aumento della sorveglianza di alcuni spazi. Infatti, la possibilità di controlli di identità effettuati regolarmente a o a campione in alcuni spazi pubblici può aumentare il rischio di maggiore esclusione e discriminazione. Le certificazioni verdi sono infatti accompagnate da controlli di identità. Poiché le persone prive di documenti spesso non possono fornire un’identificazione e potrebbero non essere in grado di fornire la prova necessaria (anche perché non possono ottenere un certificato di vaccinazione), sono effettivamente esclusi dai servizi pubblici.

In conclusione, nel caso degli undocumented migrants, i certificati di vaccinazione rischiano di essere strumenti non idonei ad incentivare la vaccinazione. Il timore è che questi possano accrescere il divario già esistente a livello sociale e possano limitare il godimento di diritti fondamentali in modi che potrebbero non essere necessari o proporzionali al raggiungimento dei nostri obiettivi di salute pubblica. Il modo più efficace per incrementare l’accesso e l’adozione dei vaccini COVID-19 per le persone senza documenti è quello di collaborare con le organizzazioni locali per sviluppare programmi che raggiungano le persone dove sono e affrontare in modo proattivo le barriere sistemiche che devono fronteggiare. La salute pubblica infatti verrebbe rafforzata permettendo ai migranti senza documenti di ricevere informazioni chiare e affidabili sulla pandemia, sui vaccini e sui loro diritti, da fonti di cui si fidano e la nostra resilienza collettiva alle emergenze sanitarie migliorerebbe rimuovendo le barriere sistemiche che incontrano nel sistema sanitario.

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