Il diritto all’aborto negli Stati Uniti riguarda anche noi

Un ritorno agli anni 70 è inevitabile quando si discute di diritto all’aborto e della sua possibile abolizione. Ma ci troviamo, invece, negli Stati Uniti dell’anno 2022, in attesa di una decisione della Corte Suprema che ribalterebbe la storica sentenza Roe v. Wade del 22 gennaio 1973. Si tratta della pronuncia che ha reso l’accesso all’aborto sicuro e legale per tutte le donne americane e che ha consentito di affermare il diritto all’autodeterminazione delle donne, limitando l’ingerenza del governo sull’esercizio delle libertà individuali.

Nella decisione, che non fu la prima a pronunciarsi sui diritti riproduttivi come espressione della libertà di scelta su questioni attinenti alla sfera intima e personale della donna, il ragionamento logico-giuridico seguito si fondò su un’interpretazione più ampia del diritto costituzionalmente garantito alla privacy e del concetto di salute, inteso al tempo stesso come benessere fisico, mentale e psicologico della donna, da riconoscere e garantire. Di conseguenza, pur in assenza di una legge, il diritto di scegliere se abortire o meno è (ancora) tutelato dalla Costituzione degli Stati Uniti, nonostante siano state svariate le limitazioni e periodici i tentativi di svuotare di tutela le libertà riproduttive. Libertà che non si riducono soltanto al diritto di abortire, ma riguardano anche la gravidanza, il matrimonio, la sessualità, la genitorialità, l’assistenza sanitaria e infantile e il diritto-dovere di crescere dei figli con dignità.

Diritti umani universali e fondamentali che non dovrebbero essere controllati e messi in discussione da motivazioni etiche, morali o religiose ma, al contrario, riconosciuti e garantiti da una (classe) politica che si fa portatrice e promotrice della giustizia sociale. Ed è proprio di questo che parla l’avvocata statunitense Kathryn Kolbert quando, al fine di paralizzare gli attacchi alla libertà riproduttiva, invita alla costruzione di un movimento per la giustizia sociale forte, al fine di non vanificare i risultati positivi conseguiti a seguito della sentenza Roe v. Wade. Risultati confermati anche dalla sentenza della Corte Suprema nel caso Planned Parenthood v. Casey del 1992. Nell’ambito del procedimento, furono proprio le argomentazioni dell’avvocata Kolbert a mantenere salvo quanto statuito nella pronuncia Roe v. Wade del ‘73, assicurando che l’aborto restasse legale in tutti gli Stati, pur non impedendo, tuttavia, ai governi di introdurre delle limitazioni, senza eccessivi oneri per le donne.

Perché continuare a garantire alle donne il diritto di scegliere se portare avanti una gravidanza o meno non significa soltanto impedire il controllo su di esse, le quali non sarebbero in grado di partecipare in modo paritario alla società se non possono scegliere se, quando e con chi avere figli e decidere del proprio corpo e del proprio destino[1], ma di evitare un futuro scenario disastroso, fatto di aborti clandestini e pericolosi, rischi per la propria vita e salute, nascite non desiderate, figli da crescere da sole o, nella peggiore delle ipotesi, con partner violenti.

E nella sua call to action per la costruzione di un solido modello di giustizia sociale, finalizzato a preservare i diritti faticosamente conquistati, anche a beneficio delle future generazioni, Kolbert sottolinea che bisogna innanzitutto scegliere bene i rappresentanti politici, esautorando i cosiddetti demagoghi acchiappa consensi e, al tempo stesso, partecipare attivamente e democraticamente alla costruzione di agende politiche serie focalizzate sulla libertà e sulla tutela della vita riproduttiva. Ma che riflettano anche: politiche favorevoli per la famiglia e la genitorialità, con il riconoscimento e la possibilità di usufruire realmente dei congedi retribuiti di maternità e paternità; programmi per ridurre il tasso di mortalità materna e l’infertilità; educazione sessuale di qualità nelle scuole, sdoganando il sesso come tabù; l’accesso alla contraccezione e all’aborto senza barriere di nessun tipo; servizi di assistenza sanitaria, anche psicologica, e consultori familiari efficienti.

Così come è importante promuovere l’educazione sentimentale, che non è la capacità di esprimere i propri sentimenti di cui parla Flaubert nel suo romanzo. Intesa nell’accezione di educazione al rispetto reciproco, delle donne e degli uomini e, soprattutto, delle donne da parte di sé stesse, consiste più precisamente nella capacità di instaurare (imparando ad instaurare) relazioni sane, fatte di rispetto, parità, conoscenza di sé, autostima e consapevolezza. Cose che sembrano scontate ma che non lo sono. Caratteristiche e capacità indispensabili che, se acquisite sin dalla giovane età, potrebbero contribuire ad evitare dolore, frustrazione e violenze psicologiche quali effetti tipici di società narcisistiche e culture maschiliste in cui spesso si diventa strumento dell’altro (o dell’altra, anche se questo accade più raramente per gli uomini), per soddisfare i propri bisogni, aumentare il proprio valore e affermare il proprio potere a scapito di altri. E che alimenta il maschilismo e il patriarcato radicato nelle nostre culture e società solo apparentemente avanzate.

Ecco perché è importante essere consapevoli e saper scegliere, come cittadini ed elettori, dei rappresentanti politici e istituzionali che abbiano a cuore e siano sensibili a certe tematiche, e che non le utilizzino soltanto come slogan per qualche voto in più o, al contrario, per screditare campagne politiche con azioni concrete per la loro messa a punto. Insomma, un tema sempre attuale e che non riguarda solo gli Stati Uniti.


[1] Kay Julie F, Kolbert K (2021), Controlling women. What we must do now to save reproductive freedom, Hachette Books, p. 305.

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