Un passo avanti, finalmente, sulla strada dell’integrazione dei Balcani occidentali
E’ presto per affermare che l’Europa si sia liberata di quell’Enlargment fatigue che l’affligge da più di un lustro, ma indubbiamente l’aver superato lo stallo che andava avanti da 3 anni è un progresso positivo da registrare per l’Ue e i suoi candidati.
Si è sbloccata, dopo un compromesso difficile e sofferto, la situazione di Macedonia del Nord e Albania per l’apertura dei negoziati di adesione, avviati il 19 luglio con la prima conferenza intergovernativa a cui hanno partecipato i premier albanese e nord macedone e Ursula Von Der Leyen. 3 anni di attese per Tirana e Skopje, 3 anni di promesse infrante e veti incrociati che hanno provocato frustrazione e delusione nelle leadership e nei cittadini ma che – al contempo- hanno cementificato il desiderio di integrazione nell’Ue da parte dei due candidati.
Con la prima conferenza intergovernativa svoltasi a Bruxelles, Albania e Nord Macedonia hanno ufficialmente avviato i negoziati di adesione, raggiungendo, nello status di candidati, Montenegro e Serbia che hanno avviato i negoziati nel 2012 e nel 2014.
Non sarà un percorso breve quello di Tirana e Skopje, ma l’avvio formale dei negoziati permette ai due candidati non solo di iniziare a uniformare i propri ordinamenti giuridici all’Aquis comunitario, ma anche di stringere partnership con l’Ue; l’Albania ad esempio entrando nel meccanismo di Protezione civile e la Macedonia del Nord nell’agenzia Frontex.
Soddisfazione unanime non solo da parte delle istituzioni comunitarie, ma anche dalle leadership dei due candidati, che si sono fortemente impegnate politicamente per raggiungere questo obiettivo. Per giungere all’avvio dei negoziati di adesione per i due candidati, prigionieri negli ultimi tre anni di veti bilaterali e della Enlargemet fatigue che ha impantanato il processo di allargamento dopo la mega adesione del 2004, è stata fondamentale la presidenza francese del Consiglio e la mediazione politica di Emanuel Macron.
A sbloccare la situazione, è stata la proposta del Presidente francese nella contesa tra Nord Macedonia e Bulgaria, che con il proprio veto in consiglio ha bloccato nell’ultimo anno l’avvio dei negoziati. La diatriba tra Bulgaria e Nord Macedonia riguarda la lingua macedone, che la Bulgaria considera una variante del bulgaro, e la memoria dell’eroe nazionale Goce Delcev, contesa da Bulgaria e Nord Macedonia.
Il compromesso avanzato dalla Francia al momento è stato approvato dai parlamenti di Skopje e Sofia e ha permesso di superare l’empasse sull’avvio dei negoziati, portando i due paesi alla firma di un Protocollo bilaterale.
Ma la proposta non è stata accolta del tutto favorevolmente dalla Macedonia del Nord, che si troverà costretta a modificare la propria costituzione e che e’ spaccata in Parlamento e nell’opinione pubblica tra favorevoli e contrari al compromesso con Sofia.
Per il Nord Macedonia, peraltro, la strada verso l’Ue rappresenta una vera e propria scalata.
Iniziata dal 2005 con la richiesta di adesione, il paese ha già superato l’ostacolo con la Grecia sul nome, risolto con l’accordo di Prespa del 2018 e il cambio nome in Macedonia del nord.
Percorso incidentato e complesso che ha trascinato anche l’Albania, candidata dal 2014, il cui percorso verso l’adesione procede parallelo a quello della Macedonia del nord. Ragion per cui ogni veto e rallentamento a Skopje si è riflesso anche su Tirana.
Gli ultimi tre anni hanno registrato veti da Francia, Danimarca e Paesi bassi, spaventati da democrazie ancora fragili e dalla prospettiva di un Europa a 31.
I paesi candidati hanno tuttavia sempre potuto contare sul sostegno politico della Commissione – che preme per accelerare il processo di allargamento – e dell’Italia, vicina ai Balcani e in particolar modo alla vicina Albania, di cui è sponsor politico e forte sostenitore sulla strada dell’Ue.
Il primo passo è stato faticosamente fatto, ma è ancora presto per stabilire tempi e orizzonti certi sull’integrazione non solo di Albania e Macedonia del Nord, ma anche di Serbia e Montenegro, più avanti nel processo di adesione, con colloqui avviati e alcuni capitoli negoziali già chiusi.
La guerra di Putin ha inciso profondamente nel processo di allargamento, sulle condizioni di stabilità e sicurezza nella regione e sulla “Prospettiva europea” dei Balcani occidentali .
In particolare, Belgrado – che non ha applicato le sanzioni a Mosca- continua a destreggiarsi tra la voglia di adesione all’Ue e la vicinanza all’alleato russo.
Pesa per la Serbia anche la tensione mai calata con il Kosovo, i cui rapporti bilaterali sono ben lontani dall’essere normalizzati. Interessati alla regione, se l’Ue continuerà a trascurare i “suoi” Balcani, sono la Russia ma anche Turchia e Cina, con Pechino particolarmente vicina alla Serbia, svincolo strategico sulla Nuova via della Seta.
Segnali che dovrebbero preoccupare l’Ue spingendola ad accelerare l’integrazione dei Balcani occidentali, non solo per stabilizzare quei paesi, ancora fragili democraticamente, ma per l’Europa stessa, per ragioni di sicurezza, controllo delle frontiere e opportunità commerciali. Motivi che dovrebbero aiutare l’Ue a spogliarsi della sua Enlargment fatigue e della politica dei veti, prima di perdere i Balcani occidentali e ritrovarsi i suoi nemici e “rivali sistemici sull’uscio di casa.