Mali: dallo splendore dell’Impero al baratro del terrorismo

Foto: Christoph Held

Concentrati nel sostenere la controffensiva ucraina verso Kherson, i governi europei stanno ignorando i conflitti che stanno lacerando il continente africano. Come durante la Guerra Fredda, l’Africa è campo di battaglia nel confronto tra Occidente, Russia e Cina. In materia di sicurezza l’intervento russo nel continente è sempre più invasivo, principalmente nel Sahel. Diversi governi dell’Africa Centrale sono stati eletti e poi rovesciati da colpi di stato militari, spesso con il supporto di Mosca, e questo nonostante gli eserciti saheliani siano stati addestrati non solo dalla Francia, ma anche da Stati Uniti e Unione Europea. Proprio come quello afghano sostenuto dagli Stati Uniti, queste forze non hanno mai raggiunto una piena capacità operativa necessaria contro le insurrezioni islamiste. Lo stato con cui oggi la Russia sta intensificando maggiormente le relazioni è il Mali che, assieme alla Repubblica Centroafricana, è diventato il principale feudo di Mosca nel Sahel dopo il ritiro delle truppe francesi. La Francia infatti, intervenuta nel 2013 su richiesta di Bamako per contrastare l’avanzata dei jihadisti, a marzo è stata costretta a porre fine alla sua presenza in Mali (Operazione Barkhane). Le relazioni con Bamako sono peggiorate dopo il secondo colpo di stato contro il presidente Keïta a maggio 2021, con Macron accusato di neocolonialismo. Subito dopo il ritiro francese, la giunta golpista del colonnello Assimi Goïta ha stretto un accordo con la compagnia Wagner per il dispiegamento di mille uomini in cambio dell’accesso alle miniere d’oro statali. Il Mali ha intensificato le operazioni anti-terrorismo, forte del supporto del Cremlino, considerato che già negli anni ’70 l’Unione Sovietica era il principale venditore di armamenti a Bamako (le ultime forniture russe includono aerei L-39, Sukhoi Su-25, elicotteri Mil Mi-24P). Putin ha inoltre assicurato al regime forniture di generi alimentari, fertilizzanti e carburante. Questa lotta contro le formazioni jihadiste però sta avendo un impatto devastante sulla popolazione. Le denunce di crimini e abusi da parte dell’esercito maliano e dei mercenari russi sui civili sono molteplici: nella cittadina di Moura sono state uccise 300 persone. Gli sfollati interni sono 400.000, mentre altri 175.000 maliani si sono rifugiati negli stati vicini. Si evince come il quadro securitario del paese sia deteriorato, con ripercussioni sugli stati confinanti quali Burkina Faso e Niger. L’auspicio è che il Ministro degli Esteri italiano si faccia promotore di iniziative a livello internazionale per affrontare l’instabilità in Mali:

Cooperazione con il Rappresentante Speciale El Ghassim Wane e l’omologa tedesca Annalena Baerbock per un rilancio della missione di pace MINUSMA. La Germania a settembre è stato l’unico paese occidentale a riprendere le operazioni in Mali. Il contingente delle Nazioni Unite però, dopo il ritiro di francesi e svedesi, non dispone più di copertura aerea, soprattutto nelle regioni di Gao e Kidal.

Nomina di un Inviato Speciale per il Mali. Questo avrebbe come obbiettivo principale la transizione verso nuove elezioni, il ripristino dell’autorità statale e la riforma dell’amministrazione. In quest’ottica, fondamentale risulta il dialogo con il Ministero degli Affari Religiosi e l’Alto Consiglio Islamico, il più importante organo religioso del paese. Inoltre includere nei negoziati l’Algeria, che sta svolgendo il ruolo di mediatore principale, potrà certamente aiutare nel processo di pacificazione nazionale. L’Inviato Speciale avrebbe poi il compito di trattare con l’Unione Africana l’invio di equipaggiamenti militari tramite lo ‘European Peace Facility’.

Ridefinizione dell’architettura di sicurezza regionale con lo US Africa Command. Priorità militari per l’Occidente devono essere il reintegro di Bamako nel G5 Sahel (forza congiunta istituita nel 2014 assieme a Mauritania, Burkina Faso, Niger, Ciad), nonchè l’aumento dell’impiego di forze speciali e droni.

Discussione con l’agenzia USAID e Banca Mondiale sull’emergenza umanitaria dopo la parziale rimozione delle sanzioni dell’Organizzazione Regionale dell’Africa Occidentale (ECOWAS). La comunità internazionale affronti la drammatica situazione sanitaria e alimentare in Mali tramite la creazione di un fondo speciale (sono necessari 686 milioni di dollari per assistere 5,3 milioni di persone).

Monitoraggio delle forze jihadiste locali tramite l’intelligence esterna (AISE), principalmente il Gruppo a Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (GSIM) e lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS). Queste due sigle si combattono tra loro e fanno riferimento la prima ad al-Qaida, la seconda allo Stato Islamico. Ad oggi, il gruppo più potente nel Sahel è il GSIM (in arabo JNIM) che dispone di tremila uomini e si presenta come protettore dei civili contro gli abusi dei militari maliani e della Wagner. Il GSIM non solo è in grado di proiettarsi verso la costa atlantica (Benin e Togo), ma soprattutto sta cercando di stabilire un governo parallelo a quello statale tra Kidal e Timbuktu. Il Mali risulta perciò strategico sia nella lotta al terrorismo di matrice jihadista sia al contenimento dell’espansionismo russo, cinese e turco nel Sahel. Il pericolo maggiore infatti è che qui, frontiera meridionale dell’Europa, si alimentino traffici illegali di armi e migranti tra il Mediterraneo e il Golfo di Guinea.

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