L’Europa federale, i progressisti e la costituente del PD

 “La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale — e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità — e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.

Questo è il principio su cui si fonda il “Manifesto per un’Europa libera e unita” scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, espressione delle tradizioni politiche comunista, liberale e socialista dell’epoca, durante il confino antifascista sull’isola di Ventotene ormai ottanta anni fa. Eppure questo fondamentale insegnamento è ancora pienamente valido, tanto più che è rimasto sostanzialmente inascoltato dalle varie compagini autodefinitesi di sinistra che si sono susseguite in Italia dal dopoguerra in poi. Mai sono state le astratte etichette a definire il reale posizionamento delle forze politiche, ma i valori di riferimento a cui ogni formazione politica si dovrebbe richiamare nella conduzione della sua linea concreta di azione.

Oggi si ha una occasione storica. Inserire un chiaro riferimento ideale al Manifesto di Ventotene e all’obiettivo della costruzione dell’Europa federale nella carta dei valori della principale forza della sinistra in Italia farebbe finalmente propria la “nuovissima linea” di demarcazione dei progressisti. Il PD infatti è in piena fase costituente per rinnovare la sua identità, gli obiettivi fondamentali della sua azione, la sua stessa visione del mondo e del futuro, cercando di rinnovare in profondità le proprie ragioni di esistere. Tanto più che oggi il PD potrebbe perseguire l’obiettivo della costruzione di nuove forme di democrazia sovranazionale se contribuisse a trasformare il Partito del Socialismo europeo, di cui è parte integrante, in un vero grande Partito transnazionale in cui possano prendere vita nuove forme democratiche di partecipazione popolare.

Un tema già ampiamente affrontato e condiviso durante le Agorà democratiche, primo tentativo di allargare la discussione anche al di fuori del Partito. Un principio che potrebbe essere plasticamente rappresentato anche da un profondo restyling dello stesso simbolo del PD che veda un esplicito riferimento all’Europa accanto a quello dominante già esistente dei colori nazionali.

L’alternativa ai nazionalismi, dilaganti non solo in Europa, richiede scelte nette in senso opposto al fine di trovare soluzioni su equilibri globali che ogni giorno appaiono sempre più instabili e preoccupanti. Per far ciò non si può che ripartire dall’Unione europea, dotandola finalmente di quelle competenze esclusive in politica estera, difesa, energia, ambiente, immigrazione e altre necessarie per essere protagonisti nella definizione di questi nuovi equilibri; non si può che ripartire da una riforma delle istituzioni comunitarie che veda il definitivo superamento del potere del ricatto nazionale dato dal diritto di veto con processi decisionali a maggioranza da parte di organi comuni legittimati democraticamente dal voto dei cittadini europei; in definitiva non si può che ripartire dall’obiettivo della costruzione dell’Europa federale e dall’introduzione delle conseguenti forme sovranazionali di partecipazione democratica se l’obiettivo finale di ogni forza progressista consiste in migliorare la qualità della vita dei cittadini, della democrazia e del futuro del nostro pianeta.

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