Lo chiamano “Schulz-Hype”, l’incredibile vento di entusiasmo che sta portando il partito socialdemocratico tedesco (Spd) a traguardi, fino a due mesi fa, impensabili. L’ex presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e la sua marcia nelle fila dell’Spd verso le elezioni politiche di settembre stanno suscitando molto scalpore in Germania. Dopo aver toccato in gennaio il minimo storico (era dato al 20%), alcuni sondaggi indicano oggi l’Spd al 33%: una rimonta straordinaria che permette ora al partito socialdemocratico di essere in un testa a testa con l’unione avversaria, quella cristiano-democratica (Cdu-Csu) della cancelliera, anch’essa ferma al 33%. Altri sondaggi mostrano un risultato ancora più sorprendente: in caso di elezione diretta del cancelliere, il 50% dei tedeschi vorrebbe Schulz, solo il 34% Merkel. Che queste percentuali bastino a riportare cancelleria a guida Spd? Questa è la domanda più dibattuta al di là delle Alpi.
Gli elementi che spiegano questo exploit inaspettato sono riassumibili in tre punti. In primo luogo la carriera politica europea di Schulz e alcuni ritagli di vita personale lo rendono una personalità credibile, autentica e fanno di lui un candidato “nuovo”, non particolarmente legato all’Spd nazionale e poco coinvolto nei governi di Grande Coalizione. Oltre all’aspetto novità e alle note biografiche si aggiungono alcune difficoltà che da tempo rendono Merkel e l’unione Cdu-Csu vulnerabili. In Germania si denota una certa Merkel-Müdigkeit (“stanchezza nei confronti di Merkel”). Dopo tre cancellierati si percepisce come parte dell’opinione pubblica sia insoddisfatta del solito messaggio dell’unione: il mantra “avanti così”, versione moderna del “keine Experimente” (“nessun esperimento”) di Adenauer, sembra non essere più credibile poiché si scontra con due fattori importanti. Questa assenza di cambiamento fa apparire infatti l’unione di centrodestra vetusta rispetto ad un candidato “nuovo” e dinamico come Schulz. Questo slogan ricorda inoltre le divisioni che la “politica delle porte aperte” ha provocato in entrambi i partiti Cdu-Csu. Il terzo elemento che contraddistingue l’ascesa politica di Schulz e che peserà nei prossimi mesi è il fortissimo mandato che i delegati Spd gli hanno conferito il giorno della sua elezione a segretario e presidente del partito: con il 100% dei voti ha frantumato i precedenti record ottenuti da Kurt Schumacher che nel lontano 1948 prese il 99,71%, e dal carismatico Willy Brandt che nel 1966 ottenne il 99,36%. Anche quest’ultimo fattore permette di capire come Schulz sia visto dai suoi quasi come “salvatore”, anche in relazione a quello stagnante 20% che da mesi contrassegnava il partito.
Bastano questi fattori a far restare l’Spd sulla cresta dell’onda fino alle elezioni di settembre? Ovviamente no. Molto si giocherà sulla proposta politica che Schulz sarà in grado di offrire. Anche se si avrà un programma dettagliato solo da giugno, i temi della proposta politica dell’Spd si stanno lentamente delineando. Una maggiore attenzione ai giovani, la lotta alle disparità sociali, investimenti in cultura e istruzione, la parola fine alla Große Koalition sono parte della visione politica del socialdemocratico. A questi si aggiunge la volontà di rimettere in discussione l’Agenda 2010, il pacchetto di riforme del lavoro e della protezione sociale varato dal governo Schröder. Questo piano, che prevedeva per esempio un taglio al periodo del sussidio di disoccupazione, una diminuzione delle regole sui licenziamenti o l’introduzione di regole più stringenti per la copertura sanitaria, gli costò la rielezione e la perdita di un’ampia parte dell’elettorato di sinistra (dal 2003, anno di approvazione dell’Agenda, l’Spd ha perso dieci milioni di voti). L’obiettivo di Schulz è quello dunque di riconquistare molti di quei voti colpendo al cuore quelle riforme, e virando dunque a sinistra. Riconosciuti alcuni errori di quel pacchetto riformista, Schulz ha intenzione di correggere quest’ultimo al fine di ridurre le disparità sociali. I primi passi in questa direzione sono l’allungamento dei tempi dell’assegno di disoccupazione, una diminuzione radicale dei contratti a tempo per combattere la crescente precarietà giovanile e un supporto alle famiglie. Con quali fondi? Secondo “Mister 100%”, così è stato ribattezzato in patria, servendosi del generoso ammontare di surplus di bilancio.
Rimettendo al centro del dibattito temi come il welfare, l’equità e la dignità sociale, Schulz e la Spd dunque abbandonano la terza via blairiana per ritornare alla vecchia tradizione socialdemocratica. Questo ritorno al sociale e al bacino naturale del partito, questa “ri-tradizionalizzazione”, così come la chiama il politologo tedesco Gerd Mielke, incanala quindi le intenzioni politiche dell’Spd verso la riscoperta della sua identità. Se ormai si parla da tempo di crisi d’identità della sinistra europea (la disfatta olandese, un PS francese che rischia l’irrilevanza politica e una sinistra italiana alle prese con le lotte intestine di sempre), sembra che in Germania proprio un “back to the roots” possa essere la chiave non solo per scongiurare una crisi identitaria ma anche per ipotecare un ottimo risultato alle elezioni di settembre.
Tutto facile per l’Spd e Schulz? Affatto. Per prima cosa c’è da capire in che modo i socialdemocratici si relazioneranno con la sinistra di Linke. Nonostante le aperture a sinistra dell’Spd, i politici della Linke rimangono critici su molti punti del progetto di Schulz, ritenendolo troppo moderato e non sembrano disposti a voler fare accordi a livello nazionale con quest’ultimo. Lo scetticismo della Linke è in realtà dovuto anche all’assenza di un programma Spd chiaro ed articolato che, come detto, sarà presentato in giugno. Schulz dovrà inoltre prendere posizione sui dossier immigrazione, economia e politica estera; finora si è infatti espresso solo a grandi linee. Terzo fattore saranno le elezioni in due Land che avranno una forte influenza sull’andamento della campagna. Lo scorso weekend si è votato in Saarland, dove l’effetto Schulz non si è per nulla avvertito. La candidata Spd, pur guadagnando 6 punti rispetto ai sondaggi, non è andata oltre il 29,6% dei voti (-1% rispetto a cinque anni fa); la Cdu ha guadagnato invece 5,5% rispetto al 2012 attestandosi al 40,1%. La Linke si è confermata terza forza con il 12,9% (-3,2%) e l’Afd non è andata oltre il 6,2%. Ciò non permette ai due partiti di sinistra di poter formare una coalizione e si prevede quindi una riedizione della Grande Coalizione Cdu-Spd. Sconfitta questa per l’Spd? Sì, ma come afferma lo Spiegel online questa è una “vittoria ingannevole di Angela Merkel”. A maggio si terranno le elezioni in Schleswig-Holstein e, soprattutto, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, Land più popoloso della Germania. I governatori uscenti Spd dei due Land sono dati per più che favoriti e una loro vittoria potrà dare una forte spinta alla campagna di Schulz. I risultati delle elezioni francesi (e italiane?) avranno, questo il quarto punto, un forte ascendente sulle elezioni tedesche e soprattutto se Le Pen vincerà le proprie. La crisi dei rifugiati e la loro gestione avevano portato la destra dell’Afd alla ribalta: solo un mese fa al 15%, oggi sotto il 10%. La vittoria di Le Pen e una nuova crisi in Grecia potrebbero spingere il partito nazionalista a percentuali migliori. C’è da capire poi se Merkel e l’unione cambieranno strategia, proponendo una vera alternativa alle proposte degli altri partiti. Infine giocheranno un ruolo decisivo le coalizioni post-elettorali. Qualora l’Spd vincesse, le opzioni sarebbero due: una coalizione Spd con i Verdi e la Linke o, nuovamente, una Große Koalition. Questa volta, però, a guida Schulz. La strada per la vittoria è ancora lunga. La speranza per l’Spd di governare il paese come partito di maggioranza sarà viva fino al giorno delle elezioni. Un 2017 entusiasmante per le forze progressiste tedesche? Sì.
Luca Argenta
Collaboratore scientifico della Fondazione Friedrich-Ebert di Roma