di Ugo Papi*
La Francia ha scelto Macron e ha rigettato la destra xenofoba e populista. La maggioranza dei francesi si sente oggi fiera di non aver seguito le sirene della paura come in Gran Bretagna, negli Usa, in Polonia o in Ungheria. A sentirsi sollevati siamo anche noi europei. Ci ha riempito il cuore vedere il nuovo presidente arrivare al Louvre sulle note del l’Inno alla Gioia prima che della Marsigliese. Macron ha vinto una scommessa impensabile solo pochi mesi fa. La sua corsa solitaria ha rotto tutti gli schemi della quinta repubblica, ha terremotato i partiti tradizionali e imposto uno stile diretto e coraggioso. Chi paga il prezzo più caro a questa rivoluzione del sistema politico francese è il partito Socialista, arrivato estenuato e diviso alla prova del voto, con un governo e un presidente uscente impauriti dai sondaggi e un candidato, Benoit Hamon, che ha fin dall’inizio rinunciato a una programma di governo per rifugiarsi in proposte massimaliste e poco credibili. Il magro risultato del primo turno, poco sopra il 6% sta a testimoniarlo. Macron, da progressista convinto si è presentato con un programma di governo ambizioso e che rompe gli schemi più invecchiati della divisione destra/sinistra. In primo luogo una riforma del mercato del lavoro che metta fine ad una rigidità atavica, sul modello della Germania di Schroder di una quindicina di anni fa, con l’obiettivo di mettere fine ad una crescente disoccupazione che destabilizza la Francia da almeno quarant’anni e che le ricette dei governi di destra e di sinistra non sono mai riusciti a risolvere. Probabilmente è molto più saggio prendere a modello la Germania socialdemocratica e il suo basso tasso di disoccupazione piuttosto che un reddito di cittadinanza universale proposto da Hamon o le 32 ore del populista di sinistra Melanchon, invischiato nella nuova ideologia della fine del lavoro. Anche in materia fiscale una tassazione progressiva accompagnata a esenzioni per le aziende che investono, ha sostituito nel programma di Macron lo sbandierato e mai applicato slogan di tutte le sinistre francesi “faison payer le riches”, che si è sempre scontrato con l’impossibilità di un applicazione draconiana e ricacciava la Francia verso tasse alte per tutti e un deficit pubblico in aumento. La stessa innovazione si ritrova nella ricetta sull’educazione e la scuola che prevede investimenti massicci e autonomia dei singoli istituti, senza insistere su una ideologica uniformità che non tiene conto delle differenze sociali e di retaggio familiare degli studenti e alla fine non garantisce né l’uguaglianza nè la promozione delle eccellenze. Sopra a tutto c’è l’Europa, difesa da Macron come la patria comune che sola potrà difendere i suoi cittadini dalle minacce del terrorismo, dalle sfide poste dalla globalizzazione e dai fenomeni dell’immigrazione massiccia. Sul terreno europeo il leader di En Marche ha mostrato un coraggio da leone contrastando tutte le tentazioni sovraniste e nazionaliste che a destra e a sinistra si scagliavano contro “L’Europa delle tecnocrazie e l’Euro delle banche”. Una sfida a viso aperto in un paese che ha sempre accarezzato la tentazione nazionalista senza aspettare l’ondata del populismo degli ultimi anni. Ora sappiamo che nella sfida per ridare vitalità e slancio all’Europa, la Francia sarà al fianco di tutti gli europeisti convinti, senza reticenze e senza secondi fini. Gli avversari di Macron hanno molto insistito sulla figura caricaturale del candidato dei banchieri e della finanza senza entrare nel merito delle sue proposte liberal democratiche, sociali, europeiste e progressiste. Ora il gioco si fa ancora più complicato. Eletto presidente, Macron dovrà al più presto presentare una compagine di governo che tenga conto delle promesse di rinnovamento. Soprattutto, entro un mese, Macron cercherà di conquistare al suo movimento una maggioranza parlamentare alle legislative, senza troppo dover dipendere dalle intese con Repubblicani e socialisti. Questo gli permetterà di governare per i prossimi 5 anni con una maggioranza solida e stabile. Il nuovo presidente dovrà riflettere anche su un tema di fondo non più eludibile in Francia. Una spaccatura sociologica di “classe” che lo porta ad avere il 90% di consensi a Parigi e a perdere nettamente nella Francia profonda e nelle zone deindustrializzate del nord e dell’est del paese. Gli operai, i poveri e i perdenti della globalizzazione per ora non si fidano. Dovrà convincerli con i fatti, per farne dei partecipanti attivi dei processi d’interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche e tecnologiche, per aumentarne i benefici effetti e limitarne gli effetti negativi. Se riuscirà a dare speranza anche a questa Francia, togliendola dalle grinfie dei pifferai della paura, il suo sarà un piccolo capolavoro.
*Ugo Papi è giornalista e scrittore. Ha lavorato per Radio Rai e scrive di Oriente per Il Mattino, l’Unità e altri periodici. È stato nel 2006/07 Consigliere per l’Asia del Ministro degli Esteri. Ha svolto l’attività di Consigliere politico di Piero Fassino, in qualità di inviato Ue per la Birmania, dal 2007 al 2011. Per il Pd è stato responsabile Asia-Pacifico del Dipartimento internazionale e Consulente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati.