L’Ue e la necessità per l’Italia di tornare a essere nuovo promotore globale di democrazia

Nei primi anni duemila l’Unione Europea era riuscita ad affermarsi come uno stabile e credibile promotore di democrazia tra i paesi confinanti. Ciò fu evidente con il successo dello storico allargamento a dieci nuovi paesi nel 2004 e poi i due minori del 2007 e 2013. In tutti questi casi, si trattava di aprire i confini dell’Unione a paesi in gran parte provenienti dalla durissima esperienza sovietica e certamente poco abituati alla tradizione democratica ben più consolidata dei paesi dell’ex blocco occidentale. In particolare, si riteneva che l’UE disponesse di una forte capacità “democratizzatrice”. Grazie alla promessa prospettiva di far parte dell’Unione Europea, i paesi confinanti si sarebbero spinti ad avviare tutte le riforme necessarie per adeguare i propri regimi agli standard richiesti dall’Unione, in termini di democrazia e stabilità di mercato.

La realtà odierna ci spinge a ritenere che gli ottimismi del nuovo millennio fossero esagerati. Il mondo – e in particolare l’Unione Europea – si sono dovuti confrontare nell’ultimo decennio, con una serie di sfide come mai accaduto in precedenza: una crisi finanziaria ed economica, una crisi dei flussi migratori, seguite da una pandemia e da una guerra sul proprio continente, come non accadeva da lunghissimo tempo. Recentemente si è iniziato a parlare per l’Unione Europea di polycrisis, intesa come l’insieme “di sfide molteplici che si rafforzano a vicenda” (come disse l’allora Presidente della Commissione Juncker nel 2016).

Uno degli effetti più evidenti di questa polycrisis, è il deterioramento delle performance democratiche di numerosissimi paesi. Come risposta a tempi eccezionali, molti hanno pensato che il ricorso a soluzioni autoritarie – o maggiormente autoritarie – potesse costituire un facile rimedio. Freedom House – istituto indipendente che si occupa di misurare ogni anno lo stato di salute della democrazia in tutti i paesi del mondo – ha certificato che il 2021 è stato il sedicesimo anno consecutivo in cui si è registrato un deterioramento della democrazia su scala globale. Per usare le parole del politologo americano Diamond, “authoritarianism has gone global”.

L’art.2 del Trattato sull’Unione Europea recita che l’unione si fonda sul rispetto dei valori democratici e li promuove. Tuttavia, immaginare che l’UE non sia stata vittima anch’essa di questa tendenza globale, sarebbe un errore. L’UE ha registrato un declino delle sue performance democratiche negli ultimi anni. Il caso più eclatante è certamente rappresentato dai paesi del cosiddetto “Gruppo Visegrád” di cui fanno parte Polonia, Hungeria, Repubblica Ceca e Cecoslovacchia. Tuttavia, la vittoria di forze politiche in molti paesi europei – Italia inclusa – in la cui fedeltà ai valori democratici è sembrata spesso ambigua, presenta ancora una volta rischi concreti per la tenuta stessa dell’Unione. In particolare, è stato lungamente evidenziato come le procedure previste dall’UE per sanzionare i paesi membri che si discostano dai valori democratici, rimangono largamente insufficienti a contrastare un fenomeno di tale portata. Le recenti tensioni con l’Ungheria che blocca l’invio di aiuti all’Ucraina come contromisura per le sanzioni UE a causa della condanna per il deterioramento dei diritti democratici di Budapest, ne sono una conferma.

L’affaticamento democratico dell’UE al suo interno non permette altresì di dotare l’Unione di strumenti efficaci per la promozione dei valori liberal-democratici al suo esterno, come accaduto in passato. Un aspetto di cui si parla con minor frequenza, ma che non per questo risulta meno inquietante, è il deterioramento delle condizioni democratiche nei paesi candidati ad entrare a far parte dell’Unione europea. Secondo i recenti dati pubblicati da Freedom House (2022), nessun paese candidato ha migliorato le proprie performance a partire dal 2005. Ciò costituisce una violazione delle aspettative, se consideriamo che per lungo tempo la politica di allargamento era considerata il miglior strumento di politica estera che l’Unione europea possedesse. Oggi, la prospettiva di entrare in un’Unione democraticamente indebolita non costituisce la spinta necessaria per i paesi democratici ad avviare le riforme. L’italia può certamente svolgere un ruolo in tal senso: considerato il cambio di governo, appare necessaria una riconferma – al mondo esterno – della fedeltà ai valori europei. Se il nuovo governo è stato indubbiamente pronto a riconoscersi all’interno di un patto atlantico in maniera netta, le recenti tensioni con l’UE in materia di bilancio e gestione dei flussi migratori dovranno cedere subito il passo. L’Italia è un paese troppo grande per poter costituire un blocco coi paesi dell’Europa dell’Est. Un allineamento del genere comprometterebbe seriamente gli sviluppi futuri dell’UE. Altresì, lo sviluppo di una destra seppur fortemente identitaria, ma fedele ai valori liberal democratici, potrebbe costituire un modello per altri paesi.

Questo testo è fra i cinque premiati con una borsa di studio per partecipare alla Winter School di Politica Estera e Europea 2023, orgabizzata da Mondodem e dalla Friedrich-Ebert-Stiftung Italien. Gli altri pezzi sono disponibli qui.

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