La Francia è ingovernabile? Appunti per una soluzione socialista

French President Emmanuel Macron attends a meeting with the leaders of the French Employers’ association (MEDEF), the CPME and the Union of local businesses, after he signed into law the pension reform raising the retirement age, at the Elysee Palace in Paris, France, April 18, 2023. REUTERS/Stephanie Lecocq/Pool

All’inizio di Europa 33, una raccolta di scritti di George Simenon, il padre del commissario Maigret, il magazine Voilà cita un misterioso poeta che, stando all’intervistatore, un giorno avrebbe scritto “Ogni uomo ha due patrie: la propria e la Francia”. Se prendiamo per vere le parole di un non meglio identificato poeta, dunque, sarà il caso di provare a capire le dinamiche politiche di questa seconda patria comune: per capire meglio la prima e tutte le altre patrie.

La protesta perpetua e il deficit democratico

Il presidente Emmanuel Macron non ha aspettato l’arrivo di settembre per riunire i leader dei principali partiti del paese, compresi quelli dell’opposizione, in una “Initiative politique d’ampleur”. L’incontro, che si è tenuto il 30 agosto a Saint-Denis, è inevitabilmente parte di una strategia con cui Macron vuole ricostruire un terreno comune con le altre forze politiche per rilanciare la legittimità della propria azione di governo.

Negli ultimi mesi, la Francia è stata ininterrottamente teatro di proteste. Dalle contestazioni contro la riforma delle pensioni alla rivolta nella banlieue di Nanterre dopo l’omicidio del 17enne Nahel Marzouk, ad essere investita è stata infatti la stessa autorevolezza di un presidente uscito indebolito – forse a sua stessa insaputa – dalla doppia tornata elettorale del 2022. Le presidenziali lo hanno riconfermato in carica, ma con un margine molto ridotto su una candidata ancora reputata “impresentabile” come Marine Le Pen. Soprattutto, le legislative hanno lasciato Macron zoppo, privo di una maggioranza parlamentare che validi democraticamente l’operato dell’Eliseo.

La mozione di censura che ha fatto vacillare il governo di Élisabeth Borne lo scorso marzo è stata un campanello d’allarme arrivato forte e chiaro alle orecchie del presidente. Macron sa di non potersi più permettere fughe in avanti che vadano ad ampliare la già profonda faglia che separa l’esecutivo dalla popolazione. E non è un caso se una delle opzioni sul tavolo dei “Rencontres de Saint-Denis” è quella di un referendum su differenti temi, anche per tastare una volta di più il polso del Paese.

Ma il deficit di legittimità ha un carattere più profondo rispetto alle singole scelte di un governo, e chiama in causa un sistema legislativo lontano sia dall’attuale situazione politica in Francia – un tripolarismo di fatto che mal si sposa con il semi-presidenzialismo – sia, forse, dalle sensibilità di una larga fetta dei francesi, che al potere esercitato dall’Eliseo vorrebbero vedere contrapposto un maggiore peso dell’Assemblée Nationale, che meglio rispecchia la composizione sociale del Paese.

La chimera dell’unità della sinistra

In questo contesto di ridiscussione complessiva del sistema politico francese, dove si colloca la sinistra? Come in molti altri casi in Europa le frammentazioni interne paralizzano la capacità di elaborazione di un progetto coerente.

La Nupes (Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale), la piattaforma nata in occasione delle elezioni legislative di giugno 2022 che riunisce al suo interno socialisti, verdi, comunisti e gli insoumis guidati da Jean-Luc Mélenchon, sembra destinata a non sopravvivere al dibattito su una lista unica per le elezioni europee del 2024.

Le europee, infatti, sono l’unica tornata elettorale del Paese con un impianto totalmente proporzionale: ciò significa che nessuna delle forze di sinistra ha la chiara contezza delle probabilità di superare lo sbarramento del 5% in caso di corsa solitaria. Se si esclude il Parti Communiste,  Les Verts e il Parti Socialiste , possono contare rispettivamente su un buon trend storico nelle elezioni europee e su un radicamento territoriale rimasto saldo nonostante gli sconquassi degli  ultimi anni.

La France Insoumise invece, cannibalizzatrice del voto di sinistra nel 2022 anche grazie alla figura del leader Mélenchon, potrebbe pagare dazio in un’elezione meno incentrata sulla personalizzazione del voto. E mentre il programma degli insoumis resta un riferimento in materia di politiche sociali, l’ambiguità su questioni internazionali come il rapporto con l’Unione Europea (si parla di una non meglio precisata “revisione dei trattati”) e con la Nato (su cui Mélenchon si è espresso in maniera molto critica anche allo scoppio della guerra in Ucraina) potrebbe rivelarsi questa volta controproducente.

Quali lezioni trarre

Da questa situazione complessa, tuttavia, è possibile ricavare qualche elemento utile non solo per analizzare lo scenario francese, ma anche per delineare una proposta progressista europea in vista dell’appuntamento elettorale della prossima primavera.

L’ultimo ciclo di proteste in Francia ha rimesso al centro la necessità di un costante dialogo con la popolazione, della conservazione e dell’apertura di nuovi spazi democratici, anche al di là dei canali tradizionali. Il governo Borne, nato da poco più di un anno, è già il secondo nella storia della Francia ad aver utilizzato più volte (11) l’articolo 49.3 della Costituzione, che permette di approvare un provvedimento scavalcando il parere dell’Assemblée.

Di fronte all’assenza di una maggioranza, in questa prima fase del suo secondo mandato  Macron ha optato per una serie di colpi di mano piuttosto che cedere ad un’interazione costruttiva con altre parti sociali. Ora sembra voler raddrizzare la rotta, ma potrebbe essere uno sforzo insufficiente e tardivo. Se i meccanismi di rappresentanza impongono, talvolta, anche scelte impopolari, è pur vero che governare senza un riscontro o in aperta controtendenza con le sensibilità dell’elettorato  non fa altro che svuotare di contenuti i sistemi democratici e aprire spazi alle forze di estrema destra.

Le forze di sinistra, infine, non possono esimersi dall’elaborare una piattaforma che coniughi la giustizia sociale con una prospettiva europea. Un’esigenza che vale soprattutto per il Parti Socialiste, chiamato ad uscire dalla tenaglia Macron-Mélenchon che ne ha svuotato il bacino elettorale negli ultimi anni. Il processo di recupero di un’identità propria, in questo caso, ha bisogno di passare da una netta discontinuità con le politiche economiche della macronie,  che guardi quindi alle proposte provenienti dalle forze alla sua sinistra. Queste devono essere calate in una cornice che non solo ribadisca l’auspicabilità del progetto europeo, ma sappia anche elaborare proposte concrete per una maggiore integrazione politica tra gli Stati membri. Partire dalla Francia, quindi, per creare davvero una patria comune.

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