Il 13 gennaio 2024 Taiwan andrà al voto per scegliere il successore di Tsai Ing-wen alla guida del Paese fino al 2028. L’esito della consultazione elettorale delineerà il futuro dell’isola, soprattutto considerando le crescenti rivendicazioni della Cina, che percepisce Taiwan come parte integrante del suo territorio. Le elezioni influenzeranno notevolmente anche le relazioni con gli Stati Uniti, che ad oggi si trovano in un momento di forte sintonia. Questa convergenza è alimentata anche dalla politica estera dell’attuale presidenza taiwanese, che vede in Washington un solido alleato per frenare le mire espansionistiche cinesi. Ma è la relazione con la Cina che rappresenta la questione principale del confronto tra le forze in campo, e una dimensione particolare la riveste anche l’aspetto tecnologico.
I contendenti alla presidenza
A contendersi la presidenza sono i tre maggiori partiti. Il Koumintang (KMT), conservatore e favorevole ad una politica di vicinanza con Pechino sfiderà le urne con Hou Yu-ih, sindaco di Nuova Taipei. Hou ha più volte espresso la sua opposizione sia al modello “una Cina, due sistemi in stile Hong Kong, sia all’indipendenza formale di Taiwan, ribadendo la validità del Consensus del 1992 – un accordo tra le due sponde secondo cui esisterebbe una sola Cina, seppur con interpretazioni divergenti. Il Partito Popolare (PPT), di ispirazione centrista-populista, invece ha nominato l’ex sindaco di Taipei, Ko Wen-je come suo candidato. La posizione del PPT e di Ko rappresenta un’alternativa politica ai due principali partiti tradizionali, sebbene sulle relazioni con Pechino le loro posizioni sembrino più vicine ai conservatori del KMT che ai progressisti. Attualmente al potere e favorito nei sondaggi invece è il Partito Democratico Progressista (DPP), schierato su una posizione nettamente filo-occidentale e per questo fortemente inviso a Pechino. L’attuale vicepresidente Lai Ching-te è il candidato che proverà a sostituire la Presidente Tsai Ing-wen, collega di partito, ma impossibilitata a correre per un terzo mandato.
Taiwan non è però solo una “pedina” della contesa tra le due maggiori superpotenze: è anche una della realtà democratiche più vibranti dell’Asia, impegnata a mantenere un delicatissimo status-quo tra indipendenza informale dalla Cina, e peculiare proiezione internazionale grazie alle sue caratteristiche storiche, politiche, economiche e tecnologiche. Nell’isola infatti vengono prodotti e assemblati oltre la metà dei microchip essenziali al funzionamento di ogni dispositivo elettronico utilizzato quotidianamente, dagli smartphone ai computer, dalle apparecchiature sanitarie ai sistemi d’arma, dalle automobili agli elettrodomestici.
Il ruolo di TSMC
Le maggiori aziende produttrici di microchip taiwanesi guardano alle prossime elezioni con interesse, alla luce del ruolo che esercitano nella sfida tecnologica tra Stati Uniti e Cina. La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), leader mondiale nel settore, è ad esempio al centro di una “corteggiamento” globale tra Stati Uniti, Giappone ed Europa, desiderosi di garantirsi impianti di produzione locali per ridurre la loro dipendenza tecnologica. La TSMC svolge un ruolo chiave nella fornitura per aziende come Nvidia, Apple e Broadcom e, insieme alla sudcoreana Samsung, è l’unica azienda in grado di produrre microchip a 3 nanometri, i più avanzati attualmente disponibili. La TSMC gestisce abilmente il dialogo con entrambe le superpotenze, sfruttando il suo know-how come leva diplomatica. Nonostante l’equidistanza tra Pechino e Washington, agli osservatori più attenti non sarà sfuggita l’apparizione di Morris Chang, fondatore della TSMC, al fianco del candidato del DPP, in più occasioni nel corso del 2023. Altre aziende, come la United Microelectronics Corporation (UMC), si sono schierate apertamente contro un’eventuale invasione cinese, mentre altre, come la Powerchip, mantengono una posizione più cauta, consci dell’importanza degli affari con la Cina continentale..
Elezioni con conseguenze globali
Sebbene la dimensione interna giochi un ruolo nel dibattito politico, è sul rapporto con la Cina che si sta giocando la campagna elettorale. Un’eventuale vittoria delle forze più vicine a Pechino, potrebbe accelerare i tempi di quella riunificazione che Xi Jinping considera ormai ineluttabile, oltre a rappresentare una potenziale involuzione democratica del sistema taiwanese. Ma quello che preoccupa è anche la possibilità che Pechino possa mettere le mani sull’industria dei microchip, una prospettiva problematica per l’Europa e gli Stati Uniti, che già dipendono fortemente dal mercato elettronico asiatico.
Lai Ching-te, il candidato del DPP, punta al rafforzamento del dialogo con Bruxelles, sostenendo la comunanza di valori che Taiwan e l’Europa condividono: il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani. E in effetti, in un momento in cui l’approccio europeo alla cooperazione con Pechino sia improntato al de-risking, Bruxelles e Taipei possono trovare lo spazio necessario a riformulare i loro rapporti bilaterali. L’allineamento della Cina con la Russia, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, ha rafforzato la consapevolezza per Bruxelles che la sicurezza dell’area euro-atlantica e quella dell’Indo-Pacifico sono strettamente legate.
Una tornata elettorale che anche l’Italia, dopo aver abbandonato la Via della Seta nel dicembre 2023, guarda con maggiore attenzione. Il governo sembra intenzionato infatti a rafforzare la cooperazione tecnologica con Taipei sulla produzione e l’esportazione di semiconduttori e a rafforzarne la rappresentanza diplomatica, provando al contempo a rilanciare senza traumi le relazioni con Pechino, in un delicato equilibrismo non senza ambiguità.
Indipendentemente dal risultato elettorale, una cosa è certa: impegnarsi a tutelare il sistema democratico e solide relazioni con Taiwan, specie a livello europeo, allontanerebbe l’eventualità di una crisi o di un blocco dell’isola, che avrebbero ripercussioni economiche tali da stravolgere i già precari equilibri nella regione.