Nell’emisfero sud è piena estate e in America Latina il caldo anomalo è protagonista di una stagione di incendi che ha messo a dura prova vasti territori della regione.
In Argentina, invece, dilaga il malcontento verso le riforme ultraliberiste volute dal presidente Javier Milei. La “Ley Óminibus” è al centro del dibattito politico nel Paese Latino-americano così come delle proteste che nelle scorse settimane hanno interrotto il dibattito parlamentare. Il 1 febbraio la polizia ha sparato proiettili di gomma e ha usato idranti e gas lacrimogeni per disperdere centinaia di manifestanti attorno al Parlamento: i mezzi d’informazione argentini hanno riferito di tre feriti e due arrestati, ma non c’è una conferma ufficiale da parte delle autorità.
Il clima è davvero incandescente sia fuori che dentro l’aula. Il governo di Javier Milei ha registrato, però, una dura battuta d’arresto alla Camera dei deputati, dove il tentativo di approvare la Legge Omnibus è fallito e il progetto è tornato in commissione. Intanto il presidente prosegue la sua visita in Israele, nell’ambito del suo tour internazionale che toccherà anche l’Italia e il Vaticano; da Gerusalemme, dicono le fonti politiche più vicine al Presidente, ha ordinato che il progetto non venisse più discusso.
Ma perché la Legge Omnibus è così cruciale per Milei e per la società argentina? Questo progetto legislativo è importante per l’azione politica del neopresidente argentino, in quanto va a toccare molti aspetti dell’economia e della sfera pubblica argentina già annunciati in campagna elettorale: l’estensione del piano di privatizzazioni che coinvolgerebbe circa quaranta aziende e la delega di maggiori poteri all’esecutivo, per un periodo limitato, in nome della cosiddetta emergenza economica. In particolare, l’esecutivo chiede mano libera in materia di tariffe, energia e tasse.
I deputati dei partiti di opposizione, soprattutto di sinistra, sono usciti dall’aula per protestare contro le cariche che stavano avvenendo all’esterno del parlamento contro i manifestanti. “Non possiamo stare a guardare”, ha detto il deputato Nicolás Del Caño. Alla fine di numerose riprese e sospensioni dell’assemblea, il pacchetto di riforme del presidente Milei con 664 articoli nella sua versione iniziale è stato tagliato dopo le lunghe trattative parlamentari fino a lasciare intatti solo 224 articoli: ed è proprio per questo che Milei ha deciso di ritirarla, perché andava a snaturare e ad “ammorbidire” un piano molto impattante per il contesto argentino tutto. Infatti, il presidente ha assicurato che non esiste “alcun piano B”, “nessuna alternativa all’austerità e alla deregolamentazione”, per stabilizzare un’economia strutturalmente indebitata e con un’inflazione record del 211 per cento su un anno. “Todo o nada”.
L’opposizione, oltretutto, teme che dare maggiori poteri all’esecutivo consentirebbe di imporre delle riforme con dei decreti che il parlamento non approverebbe. Un deputato dell’opposizione peronista, ha espresso “il timore di dare il potere assoluto” a Milei che domani “non sappiamo se dichiarerà guerra al Cile, al Perù o alla Cina”. Eppure sul fronte italiano si alzano le prime chiare voci di sostegno all’operato e alla visione del controverso presidente argentino che si presta a vedere la premier Meloni l’11 febbraio.
Milei e Meloni hanno molte cose in comune e questo incontro programmato sicuramente sarà un momento importante per entrambi. I due premier vogliono diventare punti di riferimento della destra estrema nei loro ambiti: la coalizione “nazionalista” della premier di casa nostra può trarre profitto dal presidente che ha scosso il Sudamerica e che molti esponenti del mondo culturale della destra italiana hanno ben capito. Tra la riforma del c.d. premierato, molto cara a Meloni, e la richiesta di maggiori poteri per il presidente argentino punto centrale della Ley Óminibus, molte affinità e poche divergenze tra i due leader.
Interessante sarà capire cosa emergerà dall’incontro con Papa Francesco, argentino di nascita e molto vicino, invece, alle istituzioni sociali che sostengono le fasce più povere della popolazione, raggiungendo le persone lì dove lo Stato e il suo nuovo corso ultraliberista non vuole più arrivare.