Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti tematici promossi da MondoDem sul “Rapporto Draghi” sul futuro della competitività europea. Crediamo che, per affrontare davvero le sfide delineate nel Rapporto, sia necessario declinare le sue proposte in chiave progressista, tenendo insieme innovazione, giustizia sociale e sostenibilità. Per questo abbiamo scelto di analizzare alcuni dei nodi principali emersi dal lavoro di Draghi, offrendo spunti e proposte utili al dibattito pubblico e all’elaborazione politica di chi vuole costruire un’Europa più equa, innovativa e democratica.
Il rapporto Draghi, che tra gli altri, si pone l’obiettivo di migliorare la competitività economica e la capacità decisionale dell’UE attraverso un quadro di coordinamento strategico, il Competitiveness coordination framework rappresenta l’occasione di una riflessione cruciale sulla necessità di riformare la governance dell’UE.
Uno dei punti centrali del Rapporto è espresso dalla volontà di introdurre il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio dell’UE, per ridurre l’impasse decisionale causato dall’attuale esigenza di unanimità. Tale cambiamento potrebbe impattare particolarmente settori strategici come la politica economica e industriale, troppo spesso frenati e condizionati dall’attuale sistema che a volte rallenta le risposte di Bruxelles a problematiche urgenti. Il Rapporto raccomanda, inoltre, di rafforzare il principio di sussidiarietà, che garantirebbe l’intervento dell’UE solo laddove potrebbe realmente apportare un valore aggiunto rispetto all’azione degli Stati membri.
Sebbene le proposte contenute nel Rapporto Draghi rappresentino un contributo utile e costruttivo al dibattito sul futuro dell’Europa, un’analisi più approfondita evidenzia una lacuna significativa: il tema della democratizzazione della governance europea non viene affrontato in modo sufficiente. Il rafforzamento della governance economica e finanziaria, pur essenziale, rischia di rimanere incompleto se non accompagnato da misure che garantiscano una maggiore partecipazione democratica e una più solida legittimazione politica delle istituzioni europee. Senza un equilibrio tra efficienza tecnica e rappresentanza democratica, il rischio è quello di alimentare il distacco dei cittadini dal progetto europeo, anziché favorire un’Unione più coesa e inclusiva. Il futuro dell’Unione Europea non può essere ridotto a una mera questione di efficienza: deve invece fondarsi su un progetto che sia inclusivo e sociale. Per rispondere in modo efficace alle sfide presenti e future, è fondamentale ampliare questa visione attraverso proposte progressiste che promuovano una maggiore inclusione sociale, una trasparenza più profonda e una democratizzazione concreta della governance europea.
Da una prospettiva progressista, la riforma della governance europea non può prescindere da una revisione dei trattati, che abbia come obiettivo centrale un processo di maggiore democratizzazione dei meccanismi decisionali dell’Unione. Un primo passo in tal senso, potrebbe essere rappresentato dall’implementazione di occasioni di partecipazione diretta dei cittadini nei processi decisionali: strumenti come assemblee civiche e consultazioni pubbliche digitali possono ampliare la partecipazione e garantire maggiore trasparenza, migliorando la legittimità democratica dell’UE, avvicinando i cittadini alle istituzioni europee. È essenziale creare uno spazio in cui i cittadini possano non solo esprimere opinioni, ma contribuire attivamente alla costruzione delle politiche comunitarie. Ciò rappresenterebbe un passo decisivo verso la costruzione di un’Unione più equa e inclusiva, in grado di dare voce a tutte le sue componenti sociali.
Nel contesto delle riforme proposte, un aspetto di grande rilevanza deve essere quello relativo all’inclusione di gruppi sociali spesso marginalizzati nei processi decisionali. Minoranze etniche, giovani e cittadini provenienti da regioni svantaggiate sono spesso esclusi dalle dinamiche politiche europee, e ciò favorisce un generale senso di disaffezione verso le istituzioni comunitarie. Promuovere una maggiore partecipazione di questi gruppi contribuirebbe a migliorare la coesione sociale all’interno dell’Unione, rafforzando il sostegno popolare per le politiche europee. Il loro coinvolgimento non solo consoliderebbe la democrazia europea, ma favorirebbe anche la costruzione di un consenso più ampio e inclusivo intorno alle decisioni dell’UE. Questo, a sua volta, contribuirebbe a rendere l’Unione non solo più resiliente sul piano interno, ma anche più competitiva e autorevole sulla scena internazionale, capace di affrontare le sfide globali con maggiore unità e forza.
A tal fine, rafforzare il ruolo del Parlamento Europeo è una delle chiavi per costruire un’Unione più democratica. Estendere la procedura legislativa ordinaria a nuove aree di competenza – come le politiche sociali e la lotta alla corruzione – garantirebbe un processo decisionale più trasparente e inclusivo. Il Parlamento, essendo l’unica istituzione dell’UE direttamente eletta dai cittadini, deve avere un ruolo centrale nelle decisioni che riguardano il futuro dell’Unione. Una riforma dei suoi poteri e delle sue prerogative, rappresenterebbe una svolta verso una maggiore responsabilizzazione delle istituzioni comunitarie, contribuendo a rafforzare il legame di fiducia tra i cittadini e l’UE.
Accanto alla riforma delle istituzioni democratiche, è indispensabile rafforzare il “pilastro sociale” all’interno della governance dell’UE. La promozione di una convergenza economica e sociale tra gli Stati membri richiede una gestione condivisa in settori chiave come la protezione sociale e il mercato del lavoro. L’introduzione di diritti europei più robusti, come la tutela digitale e il sostegno all’occupazione, potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel ridurre le disuguaglianze e nel costruire un’Unione più equa e inclusiva. Questo pilastro sociale non dovrebbe limitarsi a rispondere alle disuguaglianze già esistenti, ma configurarsi come una visione lungimirante, che ponga i diritti e il benessere delle persone al centro delle politiche europee e della sua governance.
Un altro tema centrale per una riforma in chiave progressista della governance europea è la questione dell’autonomia strategica.. L’UE deve essere in grado di agire autonomamente in settori cruciali come la sicurezza energetica, la difesa e la transizione ecologica: parlare di auotonomia europea non significa isolarsi, ma piuttosto sviluppare le capacità necessarie per rispondere alle sfide globali, riducendo al contempo le dipendenze esterne. In questo contesto, l’autonomia strategica non dovrebbe essere interpretata come una forma di protezionismo, ma come uno strumento per garantire la sostenibilità e la resilienza dell’Unione di fronte alle crisi globali.
La giustizia climatica costituisce un ulteriore elemento fondamentale in questa visione. La transizione verso un’economia verde non deve limitarsi a un obiettivo ambientale, ma deve diventare il motore di una crescita inclusiva, capace di ridurre le disuguaglianze sociali e territoriali. In una governance europea rinnovata, la sostenibilità dovrebbe occupare una posizione centrale, orientando le politiche verso una competitività equilibrata, che sia al tempo stesso rispettosa dei limiti ambientali e promotrice di un futuro più equo e resiliente. Il cambiamento climatico è una delle sfide più urgenti che l’Unione si trova ad affrontare e la sua gestione non può essere lasciata esclusivamente agli Stati membri: per questo motivo è fondamentale che la lotta al cambiamento climatico diventi una competenza condivisa dell’UE, con l’adozione di leggi più rigorose e vincolanti per garantire che l’Unione mantenga i propri impegni internazionali.
Tutti questi aspetti devono essere integrati all’interno di un nuovo quadro di governance che tenga conto di una visione di coesione territoriale. Colmare il divario competitivo tra le diverse aree geografiche è un obiettivo cruciale per garantire una crescita sostenibile e inclusiva in tutta l’Unione. Incentivare progetti di innovazione verde e digitale nelle regioni meno sviluppate, al fine di ridurre il divario competitivo tra le diverse aree dell’UE, e adottare un sistema di governance che promuova la coesione sociale e territoriale attraverso politiche industriali mirate, aiuterebbe a bilanciare le esigenze di decarbonizzazione e autonomia strategica con la necessità di sviluppare capacità economiche regionali. Ciò sarebbe fondamentale per favorire una coesione che, a sua volta, potenzierebbe la competitività complessiva dell’Unione.
In questo contesto, un’espansione delle politiche basate sul luogo (place-based policies) nella governance europea rappresenterebbe una leva determinante per assicurare che tutte le regioni contribuiscano in modo equo alla competitività dell’UE, riducendo il rischio di amplificare le disuguaglianze interne.
Un’Unione Europea che ambisce a essere competitiva e giusta deve mettere al centro una governance trasparente, inclusiva ed equa. Una competitività che non ponga il benessere del cittadino al suo cuore non sarà in grado di affrontare con successo le sfide globali. Per una visione progressista, è essenziale garantire una crescita sostenibile e maggiore giustizia sociale per tutti i cittadini europei; in caso contrario, l’UE perderà l’opportunità di un rilancio significativo, compromettendo i suoi valori fondativi.