Di Nicoletta Pirozzi
Ieri è stata una giornata molto triste per la Spagna e per l’Europa tutta. La consultazione sull’indipendenza della Catalogna, che secondo i dati riportati dalla Generalitat ha portato a votare il 42% dei cittadini, il 90% dei quali si è espresso per il sì, è costata centinaia di feriti e soprattutto ha provocato una profonda lacerazione sociale che non sarà facile rimarginare. Che la percentuale del sì sarebbe stata bulgara era scontato, dato che i partiti non indipendentisti non hanno fatto campagna e hanno chiesto ai cittadini di non andare a votare. Ma non si può negare che ci sia stata una forte mobilitazione, resa ancora più visibile dagli episodi di violenza.
Detto questo, c’è da chiedersi se il numero di circa 2 milioni a favore (che non sono pochi) sia il tetto di cristallo dei voti indipendentisti, poiché corrisponde grosso modo al numero di elettori che hanno votato per i partiti indipendentisti nelle ultime elezioni regionali del 2015 e al numero di voti per il sì nel referendum informale del 2014. Sul piano mediatico, la Generalitat ha vinto vendendo al mondo l’immagine di uno Stato che reprime le legittime aspirazioni del popolo catalano, mentre la strategia di Rajoy tesa a far rispettare la legalità con la forza si è rivelata controproducente, portando più persone al campo della protesta (che in Catalogna si incanala nell’indipendentismo).
Ancora una volta, scontiamo le conseguenze dell’inadeguatezza dei leader e della strumentalizzazione delle legittime aspirazioni dei cittadini per fini politici. I governi conservatori di Rajoy e Puigdemont portano una responsabilità pesante. Rajoy non ha saputo intavolare un dialogo costruttivo con gli indipendentisti e ha reagito con una violenza ingiustificabile alla mobilitazione popolare. Puigdemont ha portato il popolo catalano a difendere una consultazione senza legittimità, senza garanzie, senza una vera campagna referendaria, senza quorum.
Il post-referendum sarà molto difficile da gestire. Si teme che il governo Puigdemont sceglierà la linea dura e allo scadere delle 48 ore dalla consultazione dichiarerà unilateralmente l’indipendenza della Catalogna. A frenarlo potrebbero essere le altre forze politiche che lo appoggiano e che puntano ad obiettivi elettorali più a lungo termine. O anche la prospettiva di un processo di distacco da Madrid e di negoziazione con Bruxelles che si prospetta doloroso e irto di ostacoli. Da parte sua, Rajoy potrebbe far ricorso all’articolo 155 della Costituzione, sulla base del quale il governo centrale può prendere misure per obbligare una comunità autonoma agli adempimenti costituzionali. Sarebbero entrambe mosse estreme e controverse, che non porterebbero nulla di buono per il futuro della Spagna e avrebbero un impatto significativo sulla politica europea. L’alternativa è l’apertura di un processo costituzionale, negoziato e pacifico che permetta di vagliare nuove misure di autonomia per la Catalogna. E’ questa la strada indicata dal PSOE, attraverso un appello accorato del segretario Pedro Sanchez alla ragione, alla convivenza pacifica, alla politica delle istituzioni e al rispetto dello stato di diritto. Servirà la responsabilità di tutte le forze politiche spagnole e un ruolo forte dell’Unione europea per evitare un’ulteriore polarizzazione e gestire una situazione potenzialmente esplosiva.
*Ph “La Repubblica”