Le ragioni del Partito Democratico nel 2018

Di Fabrizio Macrì

La necessità di una visione

 Concordo con quanti sostengono che il PD debba tornare a fornire una chiara ed entusiasmante visione in grado di restituirgli la sua vocazione maggioritaria e la sua funzione di rappresentanza del riformismo democratico italiano.

Per farlo ritengo sia utile da un lato ricordare quale fosse l’ispirazione originaria dell’idea di PD a metà degli anni 2000 (credo ancora attuale) e dall’altro completare questa visione con una nuova visione progressista nell’era della globalizzazione, ancora una volta come nel 2007, chiamata a rompere con gli schemi di lettura della realtà che ci hanno guidato fino ad oggi.

 

Le origini

 Nel 2007 il PD nacque dalla fusione delle forze popolari e socialiste di Margherita e DS e dall’introduzione delle primarie aperte come sistema di selezione della propria classe dirigente, allo scopo di aprirsi a quella fetta di elettorato che, pur riconoscendosi nei valori del centro-sinistra, non era direttamente riconducibile ai due partiti fondatori.

La fusione ebbe luogo perché si ritenne che gli elementi che le forze di quell’area avevano in comune fossero più forti e numerosi degli elementi divisivi e che la sfida di cambiamento che il PD lanciava fosse un cemento più forte delle divisioni del passato.

Si riteneva che quell’area affondasse le proprie radici nella fedeltà ai valori della Resistenza quindi alla Costituzione repubblicana e che questo creasse un comune sentire cui attingere per trasformare il futuro.

Inoltre si prese atto che, per difendere quei comuni valori fondanti, fosse necessario adottare nuovi strumenti: a fronte dei cambiamenti radicali della società che ridefinivano i conflitti tra i vari gruppi sociali (i deboli degli anni 2000 erano diversi dai deboli degli anni 70 e 80), il PD doveva ripensare gli strumenti e le politiche della sinistra per continuare a difendere gli stessi principi di fondo.

La mappa dei privilegi e dei fattori di conservazione non era più così netta come negli anni ‘70 in cui la società si fondava sullo scontro tra imprenditori e salariati, tra padroni e lavoratori.

La conservazione negli anni 2000 era anche di sinistra, la classe lavoratrice era spaccata tra tutelati e baby pensionati da una parte e precari e disoccupati tecnologici dall’altra. La spaccatura tra giovani lavoratori esposti alla volatilità del mercato dovuta alla globalizzazione ma anche ad un sistema fiscale ed amministrativo punitivo per le imprese da un lato e gli illicenziabili statali e tutelati dall’art. 18 dall’altra.

Il PD nacque da un’ispirazione di riforma post-ideologica e radicale della società che, con un approccio pragmatico, doveva rispondere alle istanze dei nuovi gruppi sociali, tutelando quelli più deboli ma anche consentendo al Paese di sprigionare la sua energia, creatività e libera iniziativa.

Le cose da cambiare erano più numerose di quelle da conservare e questo rendeva necessaria l’adozione di misure anche tipicamente considerate di destra o liberali in passato ideologicamente avversate dalla sinistra: non solo quindi la stabilizzazione dei giovani precari ma anche la promozione del merito per dare modo ai meno protetti di affermarsi, rompendo i privilegi e riattivando l’ «ascensore sociale»; una politica industriale di investimenti pubblici ma anche l’abbattimento del «nucleo fiscale»  e la liberalizzazione del mercato per favorire l’imprenditorialità ; la difesa della legalità intesa come principio di equità e di difesa dei più deboli.

Questo approccio trasversale partorì l’idea della vocazione maggioritaria e cioè l’aspirazione del partito, nelle mutate condizioni sociali, ad intercettare consensi anche in aree tradizionalmente non di sinistra: non solo giovani precari ma anche start-upper e imprenditori, forze dinamiche e creative della società che prive di forti appartenenze ideologiche e particolari protezioni sociali, avrebbero potuto portarlo ad essere maggioranza nel Paese.

Le cose non sono andate esattamente così ma a sprazzi, soprattutto durante le gestioni Veltroni e Renzi, si sono visti i segni di quell’ispirazione originaria.

 

Il futuro

 Si tratta ora di capire come, questa idea fondante, ispirata ad un pragmatismo, capace di adattare le sue politiche ai cambiamenti della società per tutelare con nuovi strumenti i valori di libertà ed equità propri della cultura progressista, conservi anche oggi una sua validità. Come si declina e come si deve evolvere questa idea già fortemente innovativa, nell’Italia impaurita dalla globalizzazione del 2018 ed in balia degli opposti populismi?

Credo che l’elemento fondante debba continuare ad essere un forte realismo basato sulla conoscenza e capacità di analisi della realtà economica italiana ed internazionale.

È da questo realismo e non da stratte convinzioni «aperturiste» od «internazionaliste» che discendono le scelte europeiste e favorevoli ad un’economia aperta e libera; la presa d’atto che per un Paese come l’Italia una politica commerciale protezionistica e l’uscita dall’area Euro provocherebbero danni ben superiori ai pochi benefici.

Partendo da queste premesse, il PD deve però evitare di essere percepito come il partito della conservazione, disposto ad accettare passivamente il processo di globalizzazione ed apertura dei mercati, ignorando la consunzione delle risorse ambientali e l’aumento delle disuguaglianze sociali che si accompagnano a paure e semplificazioni populiste.

Pur prendendo realisticamente atto della realtà, promuovendo politiche atte a rendere il paese attrezzato per sopravvivere nella globalizzazione, il PD deve trasmettere una visione che vada oltre questa fase che superi le contraddizioni del nostro modello di sviluppo.

È proprio infatti sulle contraddizioni dell’attuale sistema economico e sociale che si può innestare una visione nuova e progressista nell’Italia del 2018; l’Italia non deve imparare a stare in Europa e nella globalizzazione con una moneta forte come l’Euro solo per imparare a sopravvivere nella nuova economia globale, ma anche per poter avere voce in capitolo nel cambiamento.

La società europea ed aperta che il PD difende e sostiene è l’unico modo che l’Italia ha per contare e per cercare di fare pesare la propria visione di futuro.

Più protezione per i ceti meno abbienti ed esclusi dalla globalizzazione, più formazione ed inclusione per chi viene emarginato da concorrenza ed aumento dell’intensità tecnologica, un modello di sviluppo che tenga conto della sovrappopolazione e dei limiti che l’ambiente impone alla nostra economia, la valorizzazione del principio quasi filosofico ed olivettiano di rimettere l’economia al servizio dell’uomo per non essere un processo estraneo ad esso nel quale cercare un appiglio per non essere espulsi dal sistema.

Solo l’apertura mentale e la voglia di contaminazione anche nell’elaborazione politica, economica e sociale che il PD ha lanciato 11 anni fa può aiutarci a trovare le risposte, non certo il ritorno ad una rigida visione ideologica del Mondo che porterebbe il Paese sulla strada di una sterile e perdente chiusura.

 

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