La dimensione europea del Referendum Costituzionale

Di Brando Benifei

Il referendum del 4 dicembre è una sfida che riguarda non solo la sinistra italiana ma anche i progressisti europei di varia estrazione; non solo i colleghi del Gruppo dei Socialisti e Democratici ma anche molti fra coloro che appartengono alla famiglia politica dei Verdi o dei Liberaldemocratici. Alcuni colleghi di Syriza mi hanno chiesto apprensivamente e con interesse notizie in queste settimane sull’andamento della campagna referendaria; questa attenzione del centrosinistra largo europeo, in maniera piuttosto uniforme, riguardo le sorti di questa consultazione democratica, è dovuta al ruolo essenziale svolto dal governo italiano, insieme al Parlamento Europeo, nel rompere il paradigma dell’austerità a senso unico, nel promuovere una flessibilità europea a favore degli investimenti produttivi, nel sostenere le istituzioni comunitarie nello sforzo di risolvere il complicato puzzle dei rifugiati e della politica di vicinato europea, in un Mediterraneo infiammato da conflitti e disgregazione.

Questo momento viene dunque visto come una verifica sul sostegno all’azione riformatrice del governo e per questo suscita una grande attenzione, per via del ruolo fondamentale che l’Italia deve ancora svolgere per la trasformazione dell’Europa alla vigilia del 25 marzo 2017, sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma.

Ciò detto, nel merito si possono trovare argomenti validi di tipo giuridico e non strettamente legati al quadro politico generale per sostenere, nell’ottica del ruolo che il nostro Paese deve giocare in Europa, le modifiche alla Carta Costituzionale contenute nella legge di riforma; a questo proposito vorrei concentrami su tre aspetti: la distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni, la facoltà per il governo di richiedere il voto a data certa e la nuova disciplina delle leggi di iniziativa popolare.

La scelta di riformare il Titolo V abolendo le competenze legislative concorrenti e indicando alcune nuove denominazioni è finalmente un deciso passo in avanti verso un miglioramento nell’utilizzo dei fondi europei: l’eccesso di litigiosità fra livelli istituzionali e la difficoltà a coordinare sistemi regionali troppo diversificati – penso ad esempio all’utilizzo del Fondo Sociale Europeo per Garanzia Giovani nell’ambito delle politiche attive del lavoro – hanno creato rallentamenti e difficoltà al pieno sfruttamento delle opportunità europee. Questioni che sarebbero superate con la riforma.

La possibilità per il governo di dare una corsia preferenziale alle iniziative legislative prioritarie per l’attuazione del proprio programma, con un contingentamento di tempi fino a un massimo di 70 giorni, è un’innovazione fondamentale nel momento in cui, in un contesto di democrazia multilivello e di accordi sovranazionali, è necessario rompere, come fa la riforma, la sequenza perversa di decreti legge e voti di fiducia che ha indebolito il Parlamento italiano in questi anni, mantenendo però al contempo una possibilità per il governo di dare tempi certi alle discussioni e decisioni sugli impegni presi, di fronte agli elettori e ai partner internazionali.

L’obbligatorietà dell’esame e del voto sulle leggi di iniziativa popolare, infine, rappresenta un allineamento con le richieste di maggiore democrazia partecipativa e diretta, istanze che crescono, in Europa e non solo in Italia, in un tempo di declino dei partiti come unici intermediari fra cittadino e Stato; farlo in questo modo significa fare una scelta equilibrata senza delegittimare la democrazia rappresentativa ma sfidandola a migliorarsi, come volevano fare almeno una parte dei fondatori dei primi meet-up degli Amici di Beppe Grillo.

Proprio agganciandomi a quest’ultima riflessione, posso dire che ci sono molti argomenti per votare la riforma estremamente convincenti per elettori di partiti diversi dal Partito Democratico, e per questa ragione i tanti indecisi possono e devono essere convinti negli ultimi giorni utili a fare la scelta giusta e votare sì.

Con l’approvazione della riforma, l’Europa e l’Italia non risolveranno tutti i loro problemi da un giorno all’altro, ma avremo dato una spinta e nuovi strumenti per continuare un percorso di trasformazione e di miglioramento a cui, come detto in premessa, tanti europei guardano con speranza e attesa.

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