La questione di approvvigionamento di materie prime ha spesso destato preoccupazione per l’Unione Europea. Secondo l’Agenzia Europea per l’ambiente (Eea), l’Europa dipende da altri continenti per oltre l’80% delle materie prime utilizzate. Questo dato ha posto un’urgenza politica nel definire le nuove strategie in linea con il concetto di economia circolare e con il Green Deal europeo.
“Per riuscire a guidare la transizione verde e rimanere il primo continente industriale a livello mondiale, l’Europa ha bisogno di acquisire indipendenza a livello della produzione di diverse materie prime critiche” ha detto il Commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton.
Infatti, la crisi del COVID-19 ha fatto emergere come le catene di approvvigionamento globali possano subire molto rapidamente e facilmente gravi perturbazioni, e come sia necessario per l’Europa raggiungere una diversificazione della propria fornitura e una relativa indipendenza produttiva.
Seguendo tale riflessione, il 3 settembre 2020 la Commissione ha presentato un piano d’azione per le materie prime critiche, con l’idea di ridurre la dipendenza dell’Europa da singoli paesi e di creare nuove opportunità di partenariati strategici con regioni in via di sviluppo seguendo pratiche di estrazione sostenibili e responsabili. L’Europa ha incoraggiato gli Stati Membri ad includere gli investimenti in materie prime critiche all’interno dei propri piani nazionali per il Recovery Fund.
Nello specifico, l’interesse della Commissione Europea è diretto verso le materie prime critiche necessarie per portare avanti il Green Deal europeo e rendere l’Unione un’area a emissioni zero entro il 2050. A seguito delle attuali politiche legate alla transizione energetica, si stima che la domanda di alcuni minerali come il litio e il cobalto, insieme a molteplici terre rare, 17 elementi chimici che non si trovano in concentrazioni elevate in natura fondamentali per la fabbricazione di batterie per le auto elettriche e altri prodotti ad alta tecnologia, possa aumentare esponenzialmente entro il 2050.
L’Europa possiede abbondanti risorse di litio che, se sfruttate in modo appropriato, potrebbero portare a soddisfare circa l’80% della domanda attuale. Tuttavia, lo stesso non vale per il cobalto e le terre rare, elementi per lo più assenti nel territorio europeo.
Al momento, il 60% del cobalto europeo arriva dalla Repubblica Democratica del Congo, anche se l’80% viene lavorato in Cina per poi essere trasformato in prodotti chimici per le batterie. La Cina è invece il primo produttore di terre rare nel mondo, con circa 120mila tonnellate prodotte nel 2019. Ad oggi, l’Europa dipende per circa il 98% dalla Cina per l’importazione di tali elementi.
Il miglioramento della resilienza delle catene di approvvigionamento è dunque di vitale importanza per garantire la transizione verso l’energia pulita e la sicurezza energetica. Tale fornitura dovrà al contempo essere in linea con il concetto di commercio responsabile, in particolare con paesi laddove i conflitti derivanti o aggravati dall’accesso alle risorse rappresentano una fonte ricorrente di tensione internazionale.
Per raggiungere ciò, l’Europa dovrà contare su partenariati strategici con vari Paesi esportatori. Tali partenariati sono particolarmente importanti per continenti in via di sviluppo e ricchi di risorse come l’Africa.
Al momento, si stima che la Cina possieda solo un terzo dei depositi globali, nonostante ne monopolizzi la produzione. Inoltre, il sud dell’Africa offre un elevato potenziale per la produzione di terre rare, soprattutto in Sud Africa, Tanzania, Malawi e Mozambico. Alcune compagnie hanno già cominciato l’estrazione di terre rare in queste zone: tuttavia, la sfida principale nel diversificare la produzione giace nei costi legati all’estrazione e alla produzione, i quali si troverebbero in competizione con un Paese economicamente dominante.
C’è poi un grande problema legato agli impatti ambientali dell’estrazione. Infatti, per estrare questi materiali si usano solventi organici, separazione magnetica o temperature attorno ai mille gradi: tutte pratiche estremamente inefficienti e dannose per l’ambiente. Tuttavia, sono in fase di sviluppo nuovi metodi di estrazione che non causano danni ambientali così gravi, e nuove tecniche che promuovono il recupero delle terre rare dai prodotti al temine del ciclo di vita.
La sfida per gli anni a venire della Commissione Europea consisterà dunque nel combinare pratiche di estrazione trasparenti e sostenibili con una forte spinta economica per la diversificazione dell’approvvigionamento. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale che gli Stati Membri riconoscano l’importanza dell’approvvigionamento di materie e che includano tali investimenti come parte della strategia di ripresa, anche attraverso la nuova alleanza Europea sulle materie prime e in linea con le ambizioni del Green Deal.
In tale contesto, il ricorso alla cooperazione allo sviluppo è un fondamentale veicolo in questo contesto per poter mobilitare gli investimenti privati in potenziali paesi produttori di materie prime critiche, e garantire il conseguimento di reciproci vantaggi. La cooperazione internazionale dovrà inoltre monitorare lo sviluppo economico di tali paesi ed evitare la crescita di problemi ambientali e sociali, come il lavoro minorile, o di conflitti derivanti dalla crescita di risorse.
Dal successo dei nuovi partenariati strategici con nuovi paesi, e dalla capacità dell’Europa di assicurare una due diligence efficace sull’approvvigionamento dipenderà in gran lunga lo sviluppo sostenibile di molti dei Paesi in via di sviluppo e il progresso collettivo verso i Sustainable Development Goals (SDGs).