L’Italia ha spesso ottimi candidati per guidare istituzioni internazionali e buonissimi argomenti per avanzare le proprie candidature, ma fa spesso fatica ad ottenere successi adeguati al proprio peso politico internazionale. Al contrario, negli ultimi anni ha visto paesi più piccoli ottenere di più, sia in termini relativi che assoluti.
Vorremmo quindi proporre alcune idee per sistematizzare e rendere più fruttuoso l’attuale approccio italiano, sulla base di concetti molto semplici: strategia e programmazione, pianificazione, sostegno, gioco di squadra.
Ad inizio ottobre, la Francese Odile Renaud-Basso è stata eletta Presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (EBRD), la prima donna eletta alla guida di una banca multilaterale di sviluppo.
Renaud-Basso, che succede al britannico Sir Suma Chakrabarti, ha trascorso una lunga carriera al Tesoro francese, fino a diventarne Direttore Generale, e ha prevalso con relativa facilità sul candidato polacco, il Ministro delle Finanze Tadeusz Koscinski, e sul candidato Italiano, l’ex-Ministro delle Finanze, Pier Carlo Padoan, che è poi stato cooptato per la posizione di Presidente di UniCredit.
EBRD è un’istituzione con sede a Londra non particolarmente conosciuta dagli Italiani. È stata fondata nel 1991 per sostenere lo sviluppo dei Paesi dell’Est Europa nella loro transizione ad economie di mercato dopo la caduta del Muro di Berlino ed opera oggi in 38 Paesi, con progetti anche in Asia Centrale, nei Balcani, in Medio-Oriente, mentre potrebbe presto espandere le proprie operazioni anche in Africa sub-Sahariana. Tra gli shareholders della Banca figurano i Paesi Membri dell’Unione Europea, la stessa Commissione Europea e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), nonché gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone ed altri, per un totale di 69 Paesi.
Sebbene possa apparire meno importante di altre istituzioni per gli interessi nazionali (nonostante faccia circa €10 miliardi annui di investimenti), è al centro di discussioni sulla razionalizzazione del quadro di finanza allo sviluppo europeo. In poche parole, si tratta di discussioni che potrebbero portare alla creazione di una nuova istituzione bancaria, che potrebbe rilevare alcune o tutte le operazioni di EBRD, appunto, nonché quelle extra-UE della BEI, dando così all’Unione Europea e ai suoi Stati membri una vera e propria Banca Multilaterale per lo Sviluppo allineata agli interessi strategici di Bruxelles e dei 27.
A Parigi farà dunque molto comodo avere un proprio concittadino alla guida di EBRD per almeno quattro anni e per la quarta volta (su 7 presidenti nella storia della Banca). E, ca va sans dire, avrebbe fatto molto comodo anche a Roma, l’avesse spuntata Padoan.
Ed è di questo che vorremmo parlare: come può l’Italia migliorare le proprie possibilità di prevalere in simili competizioni internazionali? Come è possibile che anche a fronte di candidature di tutto rispetto -condizione necessaria, ma evidentemente non sufficiente- tendiamo a raccogliere meno di quanto potremmo?
Ovviamente, non si tratta del solo caso Padoan, sconfitto da una candidata con un CV eccellente e sostenuta da un apparato governativo che sotto la Presidenza Macron ha ottenuto diversi successi, a partire da Christine Lagarde, passata dal Fondo Monetario Internazionale alla guida della BCE a Francoforte. Potremmo parlare del caso dell’europarlamenteare e due volte ex-Ministro dell’Agricoltura Paolo de Castro, sconfitto nel 2017 dal togolese Gilbert Houngbo alla guida del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD, con sede a Roma peraltro). O dell’incapacità di proporre candidature vincenti a fronte di opportunità concrete, come la sconfitta per la guida della NATO (nel 2012 fallimmo con Franco Frattini candidato), o ad esempio più recentemente all’UNESCO (quando provammo a puntare su Francesco Rutelli).
L’assenza di Italiani in ruoli apicali nelle istituzioni internazionali ed europee è peraltro evidente, se prendiamo un quadro d’insieme. Nel sistema ONU, il solo Filippo Grandi guida un’Agenzia di peso delle Nazioni Unite (quella per i rifugiati, UNHCR). Gli italiani Francesco La Camera (IRENA) e Simonetta di Pippo (UNOOSA), guidano invece agenzie e uffici minori. E tra “i vice”, la situazione non migliora di molto.
Inoltre, nessun connazionale figura tra i capi Dipartimento del Fondo Monetario Internazionale (caso più unico che raro); una sola Italiana, Antonella Bassani, ricopre un ruolo di leadership come vice-presidente nel Sistema Banca Mondiale (WBG), un gruppo di circa sessanta individui che guidano le sue quattro istituzioni (IBRD, IFC, MIGA e ICSID). Bassani non è comunque tra i cinque Managing Director del WBG, tra cui figurano il doppio cittadino Austriaco-Olandese Axel Van Trotsenburg e il francese Philippe Le Houerou, pur dimessosi recentemente dalla guida della Società finanziaria internazionale (IFC).
È bene specificare che, fatta eccezione per i “numero 1” di Banca Mondiale e Fondo Monerario, le altre posizioni di leadership non sono nomine politiche e si ottengono per merito. Tuttavia, è inutile fingere che non conti anche il peso politico del Paese di provenienza, nonché il sotegno attivo ricevuto dai propri Direttori Esecutivi e dalle Capitali per ottenere ruoli apicali.
Inoltre, se dopo la scadenza dei mandati di Draghi e Mogherini il nostro peso è diminuito anche a Bruxelles e Francoforte, e sebbene l’operazione che ha portato Gentiloni al ruolo di Commissario per l’Economia sia stata encomiabile, persa EBRD, l’Italia non è comunque riuscita ad inserirsi in alcun modo nel valzer delle posizioni apicali in organizzazioni multilaterali internazionali da rinnovare nel 2020: Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO); OCSE; Banca Interamericana per lo Sviluppo (IaDB) e, appunto, IFC ed EBRD.
Purtroppo, non si parla solo della promozione di Italiani in posizioni apicali di istituzioni internazionali: vale la pena menzionare la sconfitta (anche sfortunata) di Milano per la sede di EMA contro Amsterdam, sempre nel 2017, oppure il “pareggio” ottenuto solo per il rotto della cuffia per un seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, contro Paesi Bassi e Svezia, che ci ha salvato da una enorme figuraccia, nel 2016. La stessa “co-presidenza della COP26”, percepita come tale quasi solo in Italia, mentre il resto del mondo la considera di fatto esclusivamente una presidenza UK, non può essere ritenuta una vera vittoria.
E se è vero che un Paese come l’Italia non possa ambire a tutto e che l’ambizione debba essere proporzionata al peso politico, è altrettanto vero che Paesi con un peso politico minore sulla carta, fuori da G7 e G20, riescono ad ottenere, in proporzione e forse anche in assoluto, molto di più. Basti pensare agli Scandinavi, onnipresenti tra gli apicali delle istituzioni onusiane e alla NATO; o ai Paesi Bassi, i veri beneficiari della Brexit e sempre molto abili a giocare le proprie carte quando conta; ma anche, per rimanere più vicini per area geografica, al Portogallo, che con Barroso ha espresso il Presidente della Commissione europea per dieci anni, fino al 2014, ha avuto la presidenza dell’eurogruppo fino a poco tempo fa con Centeno, e ovviamente esprime il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.
Tutto questo avviene mentre l’Italia ha ottimi candidati per guidare istituzioni internazionali e buonissimi argomenti per avanzare le proprie candidature. Ma quindi, cosa manca?
Oltre a non autosabotare la nostra reputazione, come per esempio ha fatto il Governo Di Maio-Salvini, ci sono quattro accorgimenti iniziali, relativamente semplici da mettere in pratica, che possono agevolare le nostre candidature.
- Creare un ufficio permanente per le candidature sotto Palazzo Chigi. L’ufficio, sotto la responsabilità politica di un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, guidato da un diplomatico e dotato di adeguato personale, promuoverebbe l’adozione di un approccio strategico e programmatico per tutte le candidature italiane, con tre compiti principali:
a) Raccogliere le informazioni ricevute dalle Ambasciate e dagli uffici dei Direttori Esecutivi italiani nelle istituzioni internazionali, con l’obiettivo di avere un quadro completo delle candidature internazionali in un unico luogo e un database aggiornato sugli accordi in essere con ciascun Paese, e di presentare e aggiornare annualmente un forward look quinquennale o triennale.
b) Vagliare le candidature disponibili ed individuare quelle su cui puntare, in coordinamento con il Consiglio dei Ministri, gli uffici preposti presso il Ministero degli Esteri, gli altri Ministeri rilevanti, nonché con l’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS), Cassa Depositi e Prestiti (CDP), il CONI e gli enti locali, ove necessario. L’ufficio presenterebbe valutazioni di interesse nazionale a priori per ciascuna candidatura perseguita. Qualora si decidesse di presentare candidature senza possibilità di vittoria, i benefici di tali operazioni devono essere altrettanto chiari e ben definiti a priori. E’ altrettanto necessario evitare rincorse, come nel caso della candidatura ad un seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza 2017-2018 (quando si decise di candidarsi in ritardo rispetto a Svezia e Paesi Bassi), oppure corse complesse senza strategie chiare su come prevalere (come nel caso di Padoan).
c) Supportare le candidature con un ruolo di coordinamento, creando gruppi di lavoro interministeriali ad hoc e aiutando a mobilitare le risorse necessarie tra i vari enti coinvolti, nonché produrre rapporti ex-post su tutte le candidature italiane, costruendo un database di best practices e di cose che, invece, non hanno funzionato.
- Quando una candidatura risulta essere di interesse strategico, essa deve essere sostenuta adeguatamente. Vincere non è solo una questione di peso politico: spesso le nostre candidature risultano disporre di budget e risorse minori rispetto alla competizione (e spesso di budget e risorse indefinite). L’ufficio candidature sotto Palazzo Chigi avrà dunque anche la responsabilità di definire le spese necessarie per ciascuna campagna a priori e per tempo.
- Fare squadra. La politica deve dare una mano e aiutare il sistema Paese a vincere. Deve sostenere attivamente i nostri candidati e le nostre candidature internazionali con talking point condivisi e messaggi trasversali. È anche responsabilità della politica sostenere sempre candidati e candidature mettendo davanti a tutto l’interesse nazionale e non quello di parte. Il governo conservatore di Mark Rutte nei Paesi Bassi ha nominato il socialdemocratico Frans Timmermans come Commissario Europeo, consapevole che quella fosse la migliore candidatura per l’interesse nazionale e ottenendo quindi una prima vice-presidenza. È anche fondamentale garantire continuità alle nostre candidature a prescindere dal colore politico del governo. La costituzione di un ufficio candidature ha infine una rilevanza essenziale in termini di accountability e ownership spostando la responsabilità politica per le sconfitte e per i successi sotto Palazzo Chigi.
- Selezionare candidati adeguati e presentare più candidate donne. Sebbene personalità come quella di Padoan siano assolutamente inattaccabili dal punto di vista del curriculum, non sempre l’Italia ha presentato candidature all’altezza del ruolo o rispetto ai candidati avversari. Inoltre, sarebbe doveroso e opportuno puntare di piu’ su candidate donne, in un sistema internazionale dove sono ancora profondamente sottorappresentate in ruoli apicali: non a caso, uno dei maggiori successi recenti l’abbiamo ottenuto con la nomina e poi la conferma di Fabiola Gianotti al CERN di Ginevra.
Ovviamente, tutto questo non basta: serve flessibilità, avere la persona giusta per il posto giusto o le giuste motivazioni per competizioni complesse e anche una buona dose di fortuna. Servirebbe anche liberarsi di una mentalità antiquata ma ancora troppo diffusa, in base alla quale le candidature a posizioni internazionali, specialmente ai livelli più bassi, rappresentano un “premio” da elargire ai più stretti collaboratori di un dirigente anziché una opportunità per il sistema paese. Servirebbe infine una politica estera più decisa e chiara nelle sue priorità e nei suoi intenti strategici, sia a livello tematico, che geografico, condizione imprescindibile per una precisa valutazione del valore delle varie posizioni.
Infine, e a onor del vero, l’Italia ha avuto candidature di successo in passato. Eppure, la sensazione è che questi successi siano sempre stati exploit ad hoc, piu’ che il frutto di una programmazione sistematica: basti pensare ai 7 anni di Mario Draghi alla guida della BCE; alla Presidenza di Prodi alla Commissione Europea a cavallo del secolo; alla vice-Presidenza di Federica Mogherini, primo vice-presidente e responsabile per la politica estera UE nella Commissione Juncker; ai i già menzionati recenti successi diplomatici con Grandi a UNHCR e Fabiola Gianotti al CERN, o anche all’assegnazione di EXPO 2015 a Milano o delle Olimpiadi a Milano e Cortina per il 2026, vent’anni dopo Torino 2006.
Sappiamo, insomma, come si fa: ora non resta che sistematizzarlo.
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Sto pensando che i partiti italiani hanno mandato a posti internazionali non le persone migliori ma quell che dovevano collocare o perché davano fastidio o perché avevano perso la corsa in Italia. Anche le grandi aziende avevano fatto la stessa cosa. Quando sono stata mandata dall’energia a Bruxelles gli italiani che ho incontrato erano più fattorini che direttori.