di Luca Steinmann*
A quattro mesi dalle elezioni per il rinnovo della Cancelleria tedesca la quasi totalità dei sondaggisti e degli analisti sono d’accordo: salvo in caso di grosse sorprese le elezioni federali di settembre riconfermeranno Angela Merkel alla guida della Repubblica Federale Tedesca. Nonostante le profonde polemiche che hanno contraddistinto le sue politiche durante l’ultimo mandato, soprattutto in materia economica e migratoria, nessun altro schieramento politico sembra in grado di rappresentare una concorrenza efficace alla CDU. Non sembra riuscirci la destra anti-immigrazione e anti-europeista di Alternative für Deutschland (AfD), lacerata da conflitti interni e dall’assenza di una figura carismatica ai suoi vertici (la leader Frauke Petry non sembra riuscire a reggere le pressioni della sua posizione, tanto che la sua candidatura alle prossime elezioni è in forte dubbio). Soprattutto, però, all’appuntamento elettorale arriva in forte crisi quella che storicamente dovrebbe essere l’opposizione più pesante ai cristiano-democratici: la socialdemocrazia tedesca.
Le ultime tornate elettorali non solo non hanno visto una crescita dei voti da parte della Spd, ma hanno addirittura portato alle perdite di alcuni storici “feudi rossi” a favore del partito della Cancelliera, della sinistra più radicale e della destra anti-immigrazione. Particolarmente significativa è stata la sconfitta nel Nordrhein-Westfalen dove il partito di Schulz non solo non ha riconfermato la propria amministrazione sul Land più popoloso del Paese, ma ha sperimentato quelli che potrebbero essere i risultati delle elezioni federali.
Se questa tendenza venisse riconfermata a Martin Schulz non resterebbe altro che presentarsi alla corte di Angela Merkel e, con il “cappello in mano”, proporle una ricostituzione della Grande Coalizione in cui il peso numerico ed effettivo della socialdemocrazia sarebbe notevolmente minoritario. In caso ciò avvenisse verrebbe riconfermata la cronicità della crisi della sinistra tedesca che, come in varie altre latitudini europee, fatica a trovare una propria collocazione all’interno degli sviluppi delle società. La Germania, che da sempre è un anticipatore dei fenomeni europei, potrebbe dare interessanti chiavi su ciò che in futuro si manifesterà anche al di fuori dei propri confini.
Il primo elemento chiaramente indicativo della crisi della socialdemocrazia tedesca è il suo arretramento elettorale a favore non di un unico grande partito, bensì di un’eterogenea molteplicità di avversari. Gli arretramenti elettorali degli ultimi 18 mesi, manifestatisi in occasione delle elezioni locali, sono stati non solo a favore dei cristiano democratici, ma anche della sinistra radicale della Linke e della AfD. Quest’ultimo partito ha sedotto tanti ex elettori socialdemocratici soprattutto nei Land orientali, dove è maggiormente sentita l’assenza di una sinistra “tradizionale” e contrapposta al neoliberismo, e che hanno mostrato di non avere problemi a guardare a destra. Nell’Est e a Berlino non sono neanche pochi i voti che la Spd ha perso a favore della sinistra dura e pura, di quella cioè che non nega un filo di congiunzione diretta con le politiche sociali della Ddr, che si contrappone all’egemonia statunitense e che vede nella Russia un alleato indispensabile per promuovere un mondo multipolare.
Nell’Ovest, invece, le politiche progressiste della socialdemocrazia hanno difficoltà a fronteggiare non tanto le ali più radicali della destra e della sinistra, quanto più l’opposizione progressista incarnata dai cristiano-sociali della Cancelliera. Un fattore questo che potrebbe far riassumere le difficoltà del partito di Schulz nella seguente frase: la socialdemocrazia non è abbastanza progressista ad Ovest né abbastanza socialista ad Est. Insomma, in quasi nessuna parte del Paese la sinistra riesce a porsi con un unico orientamento politico chiaro e coerente per accreditarsi presso gli elettori come una forza in grado di rappresentare un’alternativa allo status quo governato da Angela Merkel.
Avvicinandosi alle elezioni, gli elettori pongono sempre domande esistenziali ai partiti che si offrono di governare, anche alla sinistra: quali sono i valori della sinistra? Quali sono le strategie economiche? Quali le politiche sociali? Siamo socialisti o progressisti? In altre parole, vogliono capire cosa sia la socialdemocrazia e dove voglia andare. In assenza di un’unica strategia a livello nazionale, essa rischia di riuscire a confermarsi solo in alcuni contesti locali (seppur non marginali ma legati all’azione carismatica dei singoli leader territoriali) e di rinunciare alla sua funzione di alternativa rispetto alla maggioranza a guida merkeliana. Un’alternativa che già non tutti chiedono (e i successi della Cdu lo dimostrano) e che quando è richiesta spesso viene cercata non nella Spd ma nelle ali più radicali della politica. Di destra come di sinistra.
Luca Steinmann, classe 1989, è un giornalista e docente italo-svizzero. Collabora con il Dipartimento di Relazioni Internazionali della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, per la quale tiene lezioni sulla politica tedesca, e con diverse testate italiane e internazionali in veste di analista geopolitico e di reporter ed è costantemente inviato a documentare fatti in tutte le zone del mondo, dall’Europa, all’estremo oriente, dall’Africa al Medio Oriente. In Italia è corrispondente per il quotidiano svizzero Il Corriere del Ticino.