Le quattro tesi putiniane sulla guerra in Ucraina: miti e realtà

MOSCA, RUSSIA – 9 SETTEMBRE: (RUSSIA OUT) Il Presidente russo Vladimir Putin lascia la scena durante il concerto per il City Day il 9 settembre 2023 a Mosca, Russia. (Foto di Contributor/Getty Images)

Più di due anni fa, un articolo del Corriere della sera pubblicava una lista dei “putiniani d’Italia, dando l’impressione di volere creare liste di proscrizione. L’articolo rispecchiava una parallela denuncia della stampa tedesca contro i Putinversteher, “coloro che comprendono le ragioni di Putin”. Entrambi gli articoli commettevano l’errore di soffermarsi sulle persone, anziché sulle tesi. Perché di tesi “putiniane”, soprattutto sulle cause della guerra, ne esistono eccome e vanno riconosciute come tali. Ma cosa significa esattamente “putiniano” o “putinista”? Sono due termini che devono essere distinti e definiti sulla falsariga dei termini “marxista” e ”marxiano”. “Putinista” è una persona che sostiene ideologicamente Putin e giustifica l’invasione dell’Ucraina come una scelta obbligata. Non mancano i commentatori che sostengono tale opinione, ma si tratta di una minoranza. Il termine “putiniano”, al contrario, non dovrebbe riferirsi alle persone, ma ai modelli di argomentazione, esattamente come si fa con il termine “marxiano” (es. una categoria marxiana, la teoria marxiana del valore ecc.). Seguendo questa distinzione, possiamo affermare che, in Italia e altrove, il punto di vista “putiniano” sulla guerra sia ampiamente diffuso; chi lo adotta tende spesso a denunciare una presunta stampa “di regime” che li censurerebbe. Vi sono quattro principali tesi “putiniane” che riprendono fedelmente, anche inconsapevolmente, la narrativa del Cremlino. Ne esistono molte altre, ma queste sono le principali.

La prima tesi afferma che l’Ucraina sarebbe sempre stata una regione russa, e la sua creazione nel 1922 una concessione da parte di Lenin. È una tesi senza alcun fondamento storico, smentita da tutti i maggiori accademici internazionali.

La seconda tesi afferma che il cambio di regime del febbraio 2014 sarebbe stato un colpo di stato orchestrato dagli Stati Uniti, che avrebbero rovesciato un governo legittimamente eletto. Questa affermazione ignora il fatto che le proteste del 2013 nascevano da un diffuso desiderio di porre fine alla corruzione e di avvicinarsi all’Europa. Il criticabile intervento diplomatico americano e quello dei gruppi paramilitari fascisti si sono innestati solo in un secondo momento, dopo la repressione violenta dei manifestanti da parte della Berkut. Non solo: la deposizione di Yanukovich da parte del Parlamento, nonostante il parziale vizio di forma (votò per la deposizione del presidente il 73% dei parlamentari invece del 75% richiesto dalla Costituzione vigente, ma comunque il 100% di quelli presenti) non può essere chiamata “colpo di Stato”, soprattutto perché la forma e le istituzioni dello Stato non ne furono affette e nuove elezioni furono indette da lì a poco. Elezioni che furono dichiarate regolari dall’OSCE, organismo di cui fa parte anche la Russia. Si aggiunga che nella votazione per la destituzione del presidente, votarono a favore tutti i membri del Partito delle Regioni, a riprova che tutti erano concordi nel denunciare l’indegnità di Yanukovich. Si trattò dunque di un cambio di regime turbolento e ambiguo, ma non di un colpo di Stato.

La terza tesi, la più rilevante, afferma che la guerra civile del 2014 sarebbe stata iniziata dall’esercito e dai paramilitari ucraini, che avrebbero unilateralmente bombardato e massacrato per otto anni i civili del Donbass. In realtà, la prima mossa fu compiuta dai dai paramilitari filo-russi o addirittura russi: l’assedio e la conquista di Sloviansk da parte dei miliziani russi di Igor Strelkov avvenne prima dell’orribile massacro di Odessa del 2 maggio; l’assedio dell’aeroporto di Donetsk precedette la controffensiva ucraina del giugno 2014; l’uccisione dei 37 soldati ucraini a Zelenopillia l’11 luglio, provocata da missili sparati di là dal confine russo, precedette certamente la battaglia di Horlivka, nella quale fu l’aviazione ucraina a bombardare e a causare numerose vittime civili. Ad agosto 2014 i soldati russi, la Wagner, e i ceceni entrano ufficialmente nel conflitto, come testimoniato, per esempio dal tremendo massacro dei 400 regolari ucraini a Ilovaisk il 18 agosto 2014, che provocò uno shock immenso nell’opinione pubblica ucraina. Anche le forze ucraine, tra cui i discussi battaglioni Azov e Aidar, come documentato da Amnesty, commisero crimini contro la popolazione civile, ma la guerra del Dobass non fu mai una unilaterale aggressione ucraina contro civili infermi: si trattò piuttosto di una guerra sporca, fomentata e alimentata dalla Russia, o almeno dai suoi miliziani. Basti ricordare che Putin, dopo aver annesso la Crimea menzionò per la prima volta il concetto di Novorussija l’8 maggio 2014, o che i Glazyev tapesprovavano il coinvolgimento russo nell’organizzazione della secessione già dai primissimi mesi del 2014.

La quarta tesi, propagata dal noto politologo americano John Mearsheimer (e copiata in Italia da tutta la pletora di sedicenti analisti anti-mainstream) asserisce che l’espansione verso est della NATO avrebbe costituito una minaccia esistenziale per la Russia. Si tratta di una tesi che si basa su tre tipologie di manipolazione linguistica, (la Nato ha inglobato i paesi dell’Est Europa, la Russia è stata accerchiata dalla Nato, l’occidentalizzazione dell’Ucraina costituisce una minaccia esistenziale per la Russia) e che, cosa più importante, è stata confutata da dati controfattuali: l’adesione della Finlandia e della Svezia alla Nato non ha provocato alcuna reazione militare da parte della Russia. La cosiddetta minaccia esistenziale non è altro che un pretesto per annettere un paese cui Putin nega identità e ragion d’essere.

Riconoscere le tesi putiniane per quello che sono è essenziale per un dibattito onesto. Il problema non è demonizzare chi le sostiene, ma smontarle con rigore e fatti. Troppe volte, nel discorso pubblico italiano e internazionale, si lascia spazio a narrazioni che ricalcano fedelmente la propaganda russa senza contestualizzazione critica. Distinguere tra “putiniani” e “putinisti” aiuta a spostare l’attenzione dalle persone alle idee, stimolando un confronto basato sulla realtà storica e non sulle etichette.

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