L’Italia in cerca di se stessa rischia l’irrilevanza sul piano internazionale

Di Annalisa Perteghella

Sembra ingenuo provare a introdurre nel dibattito politico di questi giorni l’elemento della politica estera del nostro paese. Troppo profonda la crisi, troppo incerto l’orizzonte per dedicare tempo e pensieri a qualche cosa che viene percepito come residuale, accessorio: prima risolviamo i problemi interni, poi potremo pensare alla collocazione internazionale dell’Italia e agli appuntamenti internazionali che la attendono quest’anno. Eppure, questo percepire la dimensione internazionale come qualche cosa di altro e di subordinato a quella nazionale è profondamente sbagliato: non solo il nostro paese se non inserito in un chiaro sistema di alleanze rischia di autocondannarsi all’irrilevanza (geo)politica, ma il trascurare la dimensione internazionale rischia di avere pericolose conseguenze anche sulla dimensione nazionale. Il motivo per cui la politica estera viene troppo spesso relegata al ruolo di Cenerentola del dibattito politico è da imputare alla mancanza di un pensiero più ampio, che metta in relazione interesse nazionale e strategia internazionale. Essi sono invece strettamente collegati, e stupisce che siano proprio quei partiti che più a livello retorico enfatizzano la necessità di fare gli interessi dell’Italia a tralasciare completamente la dimensione internazionale, o a rivederla in maniera antitetica rispetto al vero interesse nazionale. Il drammatico prolungarsi dei tempi per la formazione di un governo, poi, si traduce nella perdita di tempo e occasioni per affermare il ruolo e gli interessi del nostro paese.

I due esempi più lampanti in questo momento sono il dossier libico e quello iraniano: nel primo caso, abbiamo assistito nei giorni scorsi all’ennesima iniziativa francese per la pacificazione del paese forse più cruciale per gli interessi italiani, con un Macron impegnato in una roboante quanto incerta iniziativa unilaterale mentre l’Italia, che avrebbe numerose carte da giocare e che potrebbe ritagliarsi un ruolo da leader dell’iniziativa multilaterale in sede Onu, ha un ministro degli Esteri dimissionario; nel caso dell’Iran, invece, mentre le cancellerie europee fervono nella ricerca di soluzioni che possano tutelare le proprie aziende di fronte all’uscita USA dall’accordo sul nucleare, non si registra alcuna presa di posizione (tranne quella del Presidente del Consiglio in uscita Paolo Gentiloni) in difesa dell’Iran deal, né si ravvisa alcuna progettualità per salvare quell’interscambio da 5 miliardi di euro che fa del nostro paese il primo partner commerciale UE di Teheran.

Ma altri e numerosi sono gli appuntamenti all’orizzonte. L’8-9 giugno il G7 in Canada, occasione in cui tentare di ricucire lo strappo inferto da Trump al multilateralismo e al liberismo commerciale: sotto l’ombra della minaccia dei dazi americani su acciaio e alluminio, l’Italia ha tutto l’interesse a fare fronte comune con gli altri paesi del G7 affinché il presidente Usa rinnovi le esenzioni verso l’Europa. Il mese di giugno sarà poi dedicato alla discussione sulla riforma del processo di Dublino, fondamentale per la gestione dei flussi migratori verso il continente europeo. In questo caso, è interesse del nostro paese continuare a chiedere il rispetto del principio di solidarietà intra-europea, come ribadito nel position paper presentato a fine aprile dai governi dei paesi più esposti ai flussi in arrivo: Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta. Vi è poi il cruciale appuntamento del Consiglio europeo del 28-29 giugno, in cui su impulso franco-tedesco verrà con ogni probabilità avviata la discussione sul processo per il rafforzamento dell’eurozona, che prevede per ora la creazione di un bilancio dell’Eurozona, l’introduzione della figura del ministro delle Finanze Ue e il completamento dell’Unione bancaria, in cambio della quale la Germania e i paesi del nord Europa chiederanno con ogni probabilità una riduzione dei rischi nei paesi dell’Eurozona. Al centro dell’agenda del Consiglio sarà anche la decisione circa il rinnovo o meno delle sanzioni verso la Russia (attualmente in vigore fino al 31 luglio 2018) in seguito alla valutazione dello stato di attuazione del processo di Minsk sul cessate il fuoco in Ucraina. Vi è poi il Summit NATO a Bruxelles dell’11-12 luglio, nel corso del quale verrà discusso l’orientamento strategico dell’Alleanza per i prossimi anni, con le questioni chiave dello sviluppo delle capacità militari dei paesi membri fino al raggiungimento del target del 2% delle spese militari/pil, della risposta alla strategia di hybrid warfare della Russia, e della risposta alla minaccia sempre presente del terrorismo. Dopo la pausa estiva, l’Italia dovrà affrontare entro il prossimo 30 settembre la questione del rifinanziamento delle missioni militari all’estero: la decisione dovrà obbligatoriamente essere accompagnata a una riflessione strategica su quali siano i teatri principali per il nostro paese. Il governo Gentiloni ha ad oggi diminuito la presenza nei teatri afghano e iracheno, per un maggiore orientamento verso il continente africano, con il nodo cruciale della missione in Niger. Le difficoltà di avvio di questa missione, che ha la funzione di contrastare i traffici illeciti che alimentano organizzazioni terroristiche e criminalità organizzata nel Sahel, esigono la presenza di un governo stabile e nel pieno delle proprie funzioni. Lega e M5S, nel Contratto di Governo siglato nelle scorse settimane, hanno dichiarato di voler “rivalutare la presenza dei contingenti italiani nelle missioni internazionali geopoliticamente e geograficamente, e non solo, distanti dall’interesse nazionale italiano”: sarebbe opportuno che entrambi questi partiti chiariscano la propria idea di interesse nazionale, e le scelte che verranno intraprese di conseguenza. Il 30 novembre e l’1 dicembre sarà la volta del G20 in Argentina, che ha luogo in un momento in cui le spaccature della comunità internazionale si fanno sempre più evidenti; anche in questo caso, interesse dell’Italia è ricucire le divisioni su Russia e Iran, scongiurare le conseguenze nefaste di una guerra commerciale tra Usa e Cina, e nel complesso agire affinché il summit torni a essere occasione per la discussione di soluzioni per la tutela dei beni pubblici internazionali, anziché dei particolarismi. Infine, l’anno si chiuderà il 6-7 dicembre con il Consiglio ministeriale OSCE a Milano. Nell’anno di presidenza italiana dell’Organizzazione, il nostro paese dispone di un’occasione per stabilire le priorità di azione sul fronte sicurezza e difesa: come rapportarsi al processo di Minsk per la risoluzione del conflitto in Ucraina? Come rispondere alle sfide provenienti dalla regione del Mediterraneo?

Questi sono alcuni degli appuntamenti principali che si presenteranno nei prossimi sei mesi: l’agenda è fitta, e lo è ancora di più se si considera anche quella rete di incontri bilaterali e di attività di cooperazione che vengono messi in atto per avanzare l’interesse del nostro paese. Ecco che dunque non basta ribadire una generica “collocazione europea ed atlantica” – sebbene questa rappresenti un obiettivo minimo. Occorre che le forze che si apprestano a governare chiariscano quali priorità guideranno l’azione internazionale del nostro paese nei prossimi mesi, e soprattutto in quale modo intendono realizzare l’interesse nazionale italiano, al di là dei proclami. Occorre che esse sciolgano, senza ambiguità, il nodo delle relazioni con la Russia, che pregiudica l’azione europea e internazionale del nostro paese. In un momento in cui gli indicatori della solidità delle democrazie liberali sembrano rilevare un generale arretramento, occorre, in definitiva, che esse chiariscano una volta per tutte quale idea di mondo e quale idea di Italia guidano la loro azione, e spieghino al popolo italiano in che modo queste idee possono contribuire al benessere e alla realizzazione degli interessi del paese.

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