di Gianandrea Rossi*
Appare sempre più complicato lo scenario politico del Venezuela, che secondo molti osservatori, potrebbe sfociare a breve in una vera e propria crisi civile sociale oltre che economica e politica.
Da quasi un anno il paese si trova prigioniero di un blocco istituzionale determinato dalla storica vittoria alle elezioni legislative della coalizione di opposizione, la “Mesa de Unidad Democratica”, che lo scorso dicembre, ha ottenuto la maggioranza relativa aggiudicandosi quasi due terzi dell’assemblea. In effetti, già dopo il voto, alcuni avvenimenti hanno lasciato trapelare quello che sarebbe stato il clima fortemente conflittuale tra governo ed opposizione divenuta maggioranza in Parlamento. In particolare la decisione del Tribunale Supremo, a maggioranza chavista, di destituire tre deputati eletti della MUID per presunte irregolarità, ha determinato l’impossibilità per la MUD di superare la soglia dei 2/3, necessaria per approvare modifiche costituzionali.
In tutti questi mesi il Parlamento, guidato da uno degli storici leader dell’opposizione, Ramos Allup, ha tuttavia giocato un ruolo sempre più marginale, vista l’assoluta indisponibilità del Presidente Maduro a riconoscerne la legittimità. Così, a colpi di sentenze del Tribunale Supremo, Maduro ha governato il paese con decreti presidenziali, invalidando, una dopo l’altra, le molte leggi approvate dal Parlamento e consolidando una crisi istituzionale che non trova precedenti nella storia recente della regione. Un autentico blocco istituzionale che assieme alle violazioni dei diritti civili e politici a danno di alcuni detenuti arrestati in occasione delle manifestazioni del 2014 (come il leader del partito “Voluntad Popular”, Leopoldo Lopez, in carcere da oltre due anni, condannato dopo oltre un anno di detenzione preventiva) hanno spinto il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Luis Almagro, ad avviare una forte campagna esortando le autorità di Caracas a rispettare il dialogo democratico e il rispetto dei diritti politici dell’opposizione. Almagro è addirittura arrivato a evocare la clausola democratica presso il Consiglio Permanente dell’OSA, azione che non trova precedenti presso l’organizzazione.
Molti sono stati in questi mesi i tentativi di agevolare il dialogo tra governo e opposizione. Dopo la crisi del 2014, vi è stato un primo tentativo messo in campo dall’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), che dopo un paio di riunioni si è però risolto in un fallimento. Nel 2016, con l’acuirsi della crisi dopo il voto legislativo, la decisione del MUD di intraprendere il percorso costituzionale di destituzione del Presidente attraverso la convocazione di un referendum revocatorio (che se fosse convocato prima della fine della metà del mandato di Maduro, cioè entro i primi del 2017, comporterebbe la destituzione del Presidente e la convocazione di nuove elezioni, mentre se si superasse tale termine, comporterebbe soltanto la destituzione di Maduro, e il passaggio di consegne al Vice Presidente della Repubblica con le elezioni al termine naturale del mandato), l’Unasur è tornata in campo con una delegazione guidata da tre ex Presidenti, Maritn Torrijos (Panama), Leonel Fenrndez (Repubblica Dominicana) Jose Luis Rodriguez Zapatero,(Spagna) sotto il coordinamento del Segretario Generale dell’Unasur, Ernesto Samper. In effetti, la Troika guidata da Zapatero ha compiuto molte missioni nel paese, definendo la tesi dell’opportunità di un dialogo tra le parti e organizzando separatamente molti incontri con esponenti di governo e di opposizione ma senza mai riuscire a mettere in piedi un tavolo negoziale. Per questo, negli ultimi mesi, come indicato dal Segretario Generale dell’Osa Luis Almagro, i tentativi dell’Unasur hanno finito per trasformarsi in un vero e proprio temporeggiare che di fatto ha favorito il governo, evitando che in caso di referendum revocatorio e di vittoria della MUD alla caduta di Maduro seguano nuove elezioni.
La MUD, ha da tempo consegnato al Consiglio Nazionale elettorale – CNE – le firme necessarie per attivare la convocazione del referendum (pari al 20% del corpo elettorale), ma da tempo il CNE ha posticipato l’avvio di tale procedura arrivando peraltro ad annunciare nei giorni scorsi un definitivo posticipo al 2017. E’ stata questa la decisione che ha fatto traboccare il vaso, ricompattando insieme l’opposizione, che il 1 settembre e il 26 ottobre ha portato in piazza per la prima volta nella storia recente del paese centinaia di miglia di persone contro il governo Maduro. Dopo la “ Toma de Venezuela”, è stato realizzato un nuovo sciopero generale mentre il Parlamento ha avviato una discussione per verificare la legittimità del mandato del Presidente, una sorta di procedura di impeachment, che non avrà parere vincolante sul Presidente ma che potrebbe essere un giudizio fortemente politico sullo stato attuale del rapporto tra governo ed opposizione.
In questo contesto, il Presidente Maduro, stretto da una morsa economica sempre più asfissiante che vede il paese sull’orlo del collasso, ha intrapreso una missione nei paesi OPEC (e non solo) per convincere alcuni produttori a ridurre la produzione e arginare gli effetti catastrofici generati in Venezuela dalla crisi del greggio. Nello stesso viaggio, su impulso del nuovo superiore generale della Compagnia di Gesù, il venezuelano Arturo Sosa Abascal, Maduro ha fatto scalo a Roma per riunirsi con il Pontefice, da sempre attento osservatore e fautore di una ripresa del dialogo tra le parti. Così, il Vaticano ha emesso un comunicato, diffuso dall’inviato speciale per il Venezuela, che invitava le parti al dialogo. Così in poche ore, con una ridiscesa in campo del Vaticano, le parti (l’opposizione si è spaccata, e il Partito Voluntad Popular ha deciso di non partecipare) si sono sedute nuovamente al tavolo negoziale a Caracas (sotto la supervisione dell’Unasur, dell’inviato speciale del Vaticano, Claudio Maria Celli, e dell’inviato speciale degli USA, Thomas Shannon, già attivo da tempo nell’obiettivo di riaprire un dialogo), avviando un percorso negoziale su temi cruciali come la data del referendum, il rispetto del Parlamento e la liberazione dei prigionieri politici. Dopo poche ore, il governo ha compiuto un passo importante, liberando 5 prigionieri politici.
In tale scenario fortemente intricato ed in evoluzione, l‘Italia guarda al Venezuela con apprensione e con spirito collaborativo, anche per i rilevanti interessi nel paese (grande comunità italiana, presenza di molte imprese, ecc.). Per questo il governo italiano negli ultimi anni ha seguito da vicino le vicende interne, seppur con minor protagonismo rispetto alla Spagna, inseritasi a vari livelli nei tentativi di dialogo e negoziato messi in atto. La nuova recente missione del Vice Ministro Mario Giro e la contemporanea presenza della delegazione PD con l’On. Porta (Presidente del gruppo parlamentare Italia-Venezuela) ed Eugenio Marino (Responsabile PD per gli italiani all’estero) testimoniano la costante vicinanza dell’Italia non solo alla nostra comunità, ma anche agli sforzi volti ad individuare una soluzione pacifica per il futuro del paese. Il tavolo di dialogo che pare aprirsi, pur con molte difficoltà e perplessità, potrebbe essere anche una occasione per l’Italia al fine di influenza positivamente la risoluzione delle gravi tensioni politiche nel paese.