È davvero una vittoria quella del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, il VVD guidato dall’uscente Primo Ministro Rutte, che all’indomani delle elezioni in Olanda con 33 seggi, è diventato per la terza volta il primo partito olandese e possibilmente il leader del prossimo governo? E soprattutto, la sua è veramente una vittoria europea contro l’euroscetticismo? Non c’è una risposta chiara a queste domande. Quello che è ovvio è che nonostante la vittoria, il VVD ha registrato 8 seggi in meno rispetto al 2012. Invece, il suo principale sfidante, il Partito per la Libertà (PVV) – il partito euroscettico, nazionalista e xenofobo di Wilders – con i suoi 20 seggi, rimane sicuramente al secondo posto, ma ha visto un aumento della propria popolarità di ben 6 seggi.
Non si tratta quindi di un trionfo assoluto, ma della prima affermazione europea, seppur parziale, su quelle forze populiste che hanno condotto la Gran Bretagna nel caos della Brexit. In effetti, proprio la difficile situazione della Gran Bretagna, paese molto vicino all’Olanda, che tra le altre cose è stata tra i promotori della sua membership negli anni ‘70, può aver spinto i cittadini olandesi a prendere una decisione più oculata. Secondo quanto affermato dai numerosi media nazionali ed internazionali, in caso di vittoria di Wilders, l’UE avrebbe dovuto affrontare la possibilità di una Nexit, un’uscita dell’Olanda dall’Unione. Tuttavia, al di là del risultato elettorale, le ipotesi di una Nexit sono alquanto lontane. Sebbene il PVV abbia come secondo punto in programma l’uscita dell’Olanda dall’Unione e solo il 42% dei cittadini abbia un’idea positiva dell’UE, il 71% degli olandesi si sente europeo, non vuole uscire dall’eurozona e trova comunque vantaggioso per l’Olanda essere parte dell’Unione, che va però riformata.
Nonostante i dati, i fattori che hanno favorito il VVD non sono totalmente legati ad una retorica pro-europea, ma vanno anche ricercati altrove. Infatti, le elezioni nazionali si sono giocate anche su temi interni più che su dinamiche di politica estera ed europea. In primo luogo, nel suo scorso mandato, il Primo Ministro Rutte ha garantito uno sviluppo economico del paese, che nel 2017 registrerà una crescita del Pil del 2%, dato nettamente superiore alla media europea che si attesta attorno al 1,6%. L’Olanda ha anche notevolmente ridotto la disoccupazione, che si attesta attorno al 5,2% rispetto al 9,6% europeo e, nonostante i tagli al welfare perpetuati dal governo, è tra i paesi più felici su scala mondiale.
Inoltre, contrariamente da quanto ipotizzato da numerosi analisti, il recente scontro con la Turchia non ha favorito i partiti anti-establishment e islamofobi come ipotizzato. Al contrario, la risposta decisa alle provocazioni del governo di Erdogan da parte del Premier Rutte ha favorito il VVD, che ha dimostrato di poter far fronte a situazioni che minacciano la stabilità del paese. In questo frangente, nonostante la questione identitaria sia presente in Olanda come in altri paesi europei a fronte della globalizzazione, la risposta nazionalista di Wilders ha sicuramente garantito maggiori elettori al PVV, ma non abbastanza da permettergli di ottenere una vittoria. Infatti, al di là della questione identitaria, non sono l’immigrazione o l’islam per sé a destare preoccupazione agli occhi degli olandesi, ma la paura di perdere l’accesso ai servizi pubblici quale la sanità o l’educazione e il problema della sicurezza soprattutto a fronte degli attentati terroristici. Per questo motivo, anche se a tratti il Premier Rutte ha fatto dichiarazioni vagamente populiste, sostenendo che gli immigrati devono integrarsi oppure andarsene, sono state le azioni politiche portate avanti durante il suo governo, più che la retorica, a convincere gli olandesi a votare il VVD.
Inoltre, se le elezioni olandesi dimostrano qualcosa, è che è possibile avere risposte alternative al nazionalismo e al becero populismo. L’esempio lampante è la conquista da parte del partito dei Verdi di 14 seggi, rispetto ai 4 detenuti nel 2012. Vittoria, quest’ultima, che è avvenuta a discapito del Partito Laburista, che ha registrato solo 9 seggi, rispetto ai 39 del 2012. La disfatta del Partito Laburista è legata alla scelta di quest’ultimo di coalizzarsi nel 2012 con il governo di centro-destra liberale, che ha promosso tagli al welfare e politiche neoliberali. La perdita di un’identità politica lo ha delegittimato di fronte al proprio elettorato.
In conclusione, se le elezioni in Olanda possono dare una lezione agli altri paesi, specialmente in vista dei numerosi appuntamenti elettorali, è che nell’epoca della post-verità e delle fake news, i fatti contano più della retorica e sono l’unica arma dei partiti per combattere in maniera efficace il populismo.
Di Eleonora Poli