Il PNRR e la Pubblica Amministrazione: la “Macchina dello Stato” a un bivio.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) individua quattro sfide strategiche da affrontare e sei missioni, che saranno accompagnate da altrettante politiche di supporto. Tra queste figura la riforma della Pubblica Amministrazione, dalla quale tutte le altre politiche di supporto dipendono.

La Pubblica Amministrazione italiana è stata ripetutamente individuata negli ultimi decenni come un freno dello sviluppo nazionale, a causa di inefficienze e lentezze che la caratterizzano. Per capirne le cause ed individuare delle soluzioni appare opportuno esaminare tre strategici “fattori di input”, per utilizzare un termine mutuato dalla scienza microeconomica, tipici dell’azienda “Stato”: il sistema di regole, le risorse materiali (patrimoniali e finanziarie) e le quelle umane.

Riguardo l’assetto regolatorio vigente, tutte le riforme succedutesi dall’inizio degli anni ‘90 si sono concentrate sui tempi e le regole del procedimento amministrativo, sui profili professionali dei dirigenti e degli impiegati, sulla motivazione del personale, sia in senso premiale che punitivo, e sulla razionalizzazione degli Enti e delle loro competenze. Si trattava di riforme necessarie ed auspicate che tuttavia, da sole, non hanno fino ad oggi determinato l’inversione di rotta desiderata dai loro ideatori. Ciò è avvenuto in primis perché nessuna delle riforme citate è intervenuta davvero sul principale “dispositivo frenante” della macchina pubblica, vale a dire il sistema dei controlli amministrativi, contabili e giurisdizionali. Per quanto si possano infatti semplificare i procedimenti o incentivare i dirigenti ed il personale, nulla ancora oggi evita a priori che un’opera pubblica sia sospesa da un ricorso cautelare, magari giudicato infondato al termine del giudizio, o che un pagamento sia bloccato per ragioni formali piuttosto che per mancanza di fondi.

Si tratta in realtà di problematiche che riguardano anche il settore privato e che derivano anche da caratteristiche sociali e culturali del nostro paese e da diffusi fenomeni di illegalità. Tuttavia una revisione periodica dei costi e benefici dei controlli vigenti andrebbe opportunamente programmata per evitare che la cura possa rivelarsi, a volte, peggiore del male.

Esiste poi quell’insieme di comportamenti noto come “burocrazia difensiva”, che spinge i dirigenti pubblici in determinate circostanze a non agire, rinunciando magari anche a premi per la produttività, piuttosto che agire correndo il rischio di finire davanti ad un giudice amministrativo o contabile. Si noti che una quota consistente di atteggiamenti difensivi provenga da dirigenti ben formati e capaci di calcolare correttamente i costi ed i benefici delle loro iniziative. Un intervento finalmente risolutivo sulle cause di questo fenomeno andrebbe quindi studiato in modo attento per ottenere davvero un aumento di efficienza della nostra Pubblica Amministrazione.

Il secondo tema, quello delle risorse patrimoniali e finanziarie della P.A., ha guadagnato la ribalta mediatica durante le prime, drammatiche, fasi dell’epidemia Covid-19 focalizzandosi in particolare sulla sanità nazionale e di quelle regionali. Il problema è ovviamente più ampio, e riguarda diversi altri settori come la Scuola e la Giustizia, solo per citarne due casi macroscopici. La decisione sulle risorse patrimoniali e finanziarie da destinare alla P.A. ha natura squisitamente politica e spetta esclusivamente al Parlamento, così come qualsiasi iniziativa che intervenga sul lato delle entrate. Non si tratterebbe tanto, in questo ambito, di intervenire sulla pressione fiscale complessiva o specifica di alcune fasce di reddito quanto di mettere davvero in campo un contrasto aggressivo all’evasione ed all’elusione fiscale. Le difficoltà incontrate dal nostro Paese su questo aspetto non dovrebbero far dimenticare che su questo sono in ballo sia la credibilità l’Italia nei confronti dei partner europei ma anche quella della politica nei confronti dei cittadini che chiedono servizi all’altezza.

Il terzo ed ultimo tema investe il personale pubblico, la sua consistenza numerica ma soprattutto la sua qualità. La figura dell’impiegato pubblico nell’immaginario collettivo non è, com’è noto, delle migliori. Oggi perlomeno esistono le premesse e gli strumenti per cambiare, se non per rovesciare, la situazione. La Pubblica Amministrazione è ormai estremamente bisognosa di nuove assunzioni, dato che l’età media del personale in alcuni Enti supera i 55 anni e durante la prima metà di questa decade andranno in pensione coloro che erano entrati durante le ultime assunzioni “di massa” degli anni ’80. Abbiamo quindi davanti due alternative: o la paralisi o una reale ricostruzione/rifondazione della P.A..

Puntando ovviamente sulla seconda, tale prospettiva può realizzarsi in grandissima parte attraverso una politica di assunzioni seria e trasparente che, rispetto ai decenni passati, deve questa volta reclutare quelle eccellenze nazionali che oggi non trovano sbocchi in altri settori, e che troppo spesso portano le loro competenze altrove aumentando la competitività di economie concorrenti ed indebolendo la nostra. Una politica del personale di questo tipo potrebbe innescare effetti positivi sull’economia attraverso la conseguente maggiore efficienza del settore pubblico e mantenendo intelligenze e competenze nel nostro Paese.

È quindi dal successo di questi interventi – un nuovo assetto normativo e regolatorio, il recupero di risorse da investire ed il potenziamento qualitativo e quantitativo del personale – che può dipendere il successo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e, conseguentemente, il futuro dell’Italia.

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