L’epidemia di Coronarvirus ha messo in evidenza tutti i limiti dei welfare state nazionali e del modello sociale europeo così come concepito negli ultimi decenni. Ci troviamo di fronte ad un’emergenza che sta mettendo a dura prova i sistemi sanitari pubblici e che ha, e avrà nei prossimi mesi, delle conseguenze economiche e sociali rilevanti soprattutto per le categorie più vulnerabili della popolazione. Tra queste, vale la pena menzionare, in particolare, tutti i lavoratori con contratti di lavoro atipici, come i lavoratori digitali, stagionali e della gig economy, che si trovano totalmente sprovvisti di strumenti di protezione sociale adeguati ad affrontare un’emergenza improvvisa, quale l’attuale blocco delle attività economiche imposto per contrastare la diffusione del virus.
Unione Europea: i problemi dei working poor
Quella dell’insufficiente e, talvolta, assente protezione sociale dei nuovi working poor è una vecchia questione. Già dopo la crisi del 2008 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) aveva adottato nel 2012 la Social Protection Floors Recommendation, con l’intento di stabilire livelli minimi di protezione che avrebbero dovuto formare la base dei sistemi di sicurezza sociale globali. In Europa, la proclamazione da parte dell’UE del Pilastro europeo dei diritti sociali, emanato nel 2017, va in tale direzione. Il Pilastro ha avuto, senza dubbio, il merito di rimettere al centro dell’agenda politica europea la questione sociale, raggruppando e rinnovando diritti e principi fondamentali a cui devono ispirarsi le azioni di coordinamento dell’UE in questo ambito (si ricordi, in particolare, il principio sulla protezione sociale da garantire a tutti i lavoratori indipendentemente dal tipo o durata di lavoro). Ciò nonostante l’UE non ha ancora le competenze necessarie per poter agire in questo settore in maniera autonoma e vincolante, e il risultato è un insieme frammentato di risposte nazionali, evidentemente inadeguate, alle sfide di portata globale che minacciano i cittadini europei.
Le diverse strategie e la necessità di un welfare europeo rivisto
Così, di fronte alle conseguenze economiche dell’epidemia in corso, i paesi europei hanno messo in campo strategie diverse: la Germania ha previsto un incremento degli aiuti ai destinatari dei sussidi ‘Hartz IV’ (ossia disoccupati e percettori di redditi bassi), la Francia e l’Irlanda hanno, invece, esteso l’indennità di malattia per lavoratori in quarantena, l’Italia ha messo a disposizione indennizzi per le partite Iva della gestione separata Inps, ma resta ancora da sciogliere il nodo di chi vive in una zona d’ombra tra lavoro e non lavoro e non ha diritto né alla cassa integrazione né agli indennizzi previsti.
Come la crisi del 2008, l’attuale emergenza ha reso, dunque, evidente la necessità di un radicale ripensamento del welfare europeo, che deve necessariamente assumere omogeneità a livello continentale e soprattutto caratteri innovativi capaci di fronteggiare le nuove minacce della società contemporanea. Innanzitutto, sarebbe auspicabile la realizzazione dell’ormai noto progetto dell’European Unemployment Benefit Scheme, ossia di un’indennità di disoccupazione europea, comunemente finanziata, in grado di attenuare l’impatto che i forti shock economici hanno sull’occupazione, prevenendo in questo modo la possibilità che un aumento ciclico della disoccupazione diventi strutturale. Oggi un tale strumento sarebbe risultato probabilmente più efficace e tempestivo rispetto alle singole risposte dei governi, ciascuno dei quali alle prese con i propri conti pubblici. Un nuovo welfare europeo dovrebbe, inoltre, garantire strumenti capaci di attenuare le nuove diseguaglianze che, come abbiamo visto, si acuiscono nei periodi di crisi. Tali misure dovrebbero, però, seguire una logica innovativa, ossia di prevenzione dei rischi, investendo sulle generazioni attuali e future prima che esse abbiano bisogno di assistenza. Così, difronte ad un mercato del lavoro in continua evoluzione, dovrebbero essere garantiti sistemi formativi per tutto il corso della vita, affinché le persone possano sempre essere effettivamente in grado di partecipare in maniera attiva al mercato stesso. Ancora, dovrebbero essere garantiti servizi di alta qualità per la primissima infanzia, accompagnati eventualmente da un sostegno monetario (una sorta di Child Benefit attualmente previsto in Inghilterra), che consenta un adeguato sviluppo delle capacità sociali e cognitive dei bambini. Neuroscienziati ed economisti concordano, infatti, sull’idea che investire oggi in strumenti che massimizzano la possibilità di rendere i bambini sani ed istruiti può significare risparmi per l’intero sistema economico domani. Infine, un sistema sociale di nuova generazione non può certamente trascurare la necessità di migliorare il sistema dei congedi parentali per donne e uomini, al fine di garantire un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata e un incremento delle dell’occupazione femminile.
Tuttavia, se l’Europa deve dimostrare la leadership politica necessaria per rafforzare realmente la dimensione sociale europea andando al di là di generiche dichiarazioni, gli Stati Membri devono essere disposti a concedere altri pezzi di sovranità non solo in ambito sociale ma anche fiscale. Un nuovo welfare europeo necessita, infatti, di un rinnovato impegno fiscale da parte dell’Unione Europea, accompagnato da una modifica del suo assetto istituzionale. Ci sono proposte di modifica attualmente in discussione divisioni in seno al Consiglio europeo bloccano qualsiasi passo in avanti in tale direzione.
È più che mai necessario che l’UE superi definitivamente tali divisioni per trasformarsi in un soggetto politico in grado di affrontare in maniera autonoma e univoca i nuovi rischi sociali ed economici della società contemporanea. Sarebbe la migliore garanzia di sopravvivenza per il progetto europeo ora che risentimento e rabbia sociale, dopo i canti e gli applausi ai balconi, stanno inesorabilmente emergendo tra i cittadini.