Una situazione di stallo, uno stop atteso ma ugualmente poco comprensibile.
Chi lavora per integrare – la Commissione – e chi pone continui ostacoli, come alcuni paesi membri.
Si può sintetizzare cosi il Summit di Brdo, in Slovenia, del 6 e 7 ottobre scorso tra i 27 e i 6 paesi dei Balcani occidentali candidati all’ingresso nell’Ue (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia).
Nessun passo concreto in avanti e nessuna prospettiva certa, a parte il pacchetto di aiuti da 30 miliardi e la volontà di arrivare – chissà quando – alla piena integrazione dei Balcani occidentali.
Il documento finale del Summit di Brno parla – esplicitamente – di allargamento, con l’Ue che si impegna a favore di questo processo e valuta positivamente lo sforzo dei paesi candidati a favore del primato della democrazia e dello stato di diritto.
Ma è troppo poco per i Balcani occidentali, per le sue leadership e cittadini che incessantemente bussano alla porta dell’Europa.
ll documento, a parte il richiamo al prossimo summit del 2022, non indica date e orizzonti concreti per l’ingresso di nessuno dei paesi candidati, nemmeno per Serbia e Montenegro che sono più avanti nei negoziati di adesione e tanto meno per Albania e Macedonia del Nord in attesa di aprire i negoziati ormai da due anni.
I nodi e gli ostacoli alla piena integrazione comunitaria dei Balcani sono molteplici e per lo più politici.
Primariamente, ci si chiede come far funzionare l’Unione e i suoi apparati cosi complessi con 29 e più avanti con 31 membri senza un nuovo trattato che riformi sostanzialmente il sistema Ue e sciolga le debolezze strutturali che impantanano il processo decisionale su alcuni temi cruciali, su tutti la politica estera.
Il paese più scettico all’allargamento a quei paesi di una regione da sempre centrale negli eventi, equilibri e non meno interessi strategici del vecchio continente resta la Francia, che già nel 2019 aveva posto il veto all’avvio dei negoziati di adesione per Albania e Macedonia del Nord.
Il no francese è giustificato con il desiderio di Macron di riformare l’Unione prima di allargarla.
Diversamente, i dubbi olandesi e danesi sono connessi a questioni di sicurezza, considerando il peso – oggettivamente un macigno- della criminalità organizzata e dei traffici che coinvolgono i paesi dei Balcani.
Ma il vero ostacolo è legato a questioni bilaterali, figlie di retaggi storici ed egoismi nazionali.
I rapporti tra Serbia e Kosovo sono ben lontani dall’essere normalizzati e nelle ultime settimane l’ennesima frattura ha avuto come oggetto le targhe automobilistiche.
Altrettanto difficile e conseguenza di nazionalismo e odio mai sopito è il veto che pone la Bulgaria alla Macedonia del Nord.
La Bulgaria difatti, penultimo paese ad essere stato accolto nella famiglia europea nel 2007, non vede di buon occhio l’ingresso nell’Unione della Macedonia del nord- di cui non riconosce l’identità storica e linguistica – paese che più di altri si è impegnato fortemente per raggiungere l’agognata integrazione europea, tanto da aver posto fine – con gli accordi di Prespa – alla disputa sul nome con la Grecia.
Rallentamenti e paludi che imprigionano anche l’Albania, il cui percorso comunitario procede parallelamente alla Macedonia del Nord.
Il paese delle Aquile – con la Macedonia del nord – attende di aprire formalmente i negoziati di adesione. Delusione, ma anche rassegnazione, filtrano dai leader – su tutti Edi Rama, premier albanese che ha incentrato la sua leadership sull’obbiettivo europeo, al pari del presidente macedone Zoran Zaev.
L’adesione dell’Albania all’Ue è fortemente sostenuta dall’Italia, che considera il paese al di là dell’Adriatico partner strategico sotto molti punti di vista, economico ( l’Italia è il primo partner commerciale del paese), geopolitico, culturale, e soprattutto per questioni legate alla sicurezza anche nazionale.
L’Italia da sempre – e con ogni governo – si conferma pro- allargamento, convinta che con l’Albania e i Balcani occidentali pienamente europei siano un vantaggio anche per gli interessi nazionali. Solo con l’Albania, al di là della vicinanza geografica e dei fatti del passato che hanno portato 30 anni fa migliaia di albanesi in Italia, l’interscambio economico tra i due paesi raggiunge percentuali importanti.
Ma lo stallo acclarato a Brno e la palude che imprigiona i Balcani e il processo di allargamento, impedisce di delineare prospettive e tempi certi, demotivando leader e cittadini di quei paesi, che impotenti vedono l’orizzonte europeo allontanarsi sempre di più.
Con il rischio – concreto – che i Balcani occidentali si lascino sedurre da altre potenze economiche e geopolitiche, Russia – che spera di riconquistare influenza nella regione – Turchia e Cina che già ha messo piede nella regione dopo il prestito non restituito al Montenegro per la costruzione dell’autostrada.
Un rischio, quello di “perdere i suoi Balcani”, che l’Unione Europea non può assolutamente permettersi e che forse dovrebbe indurla a rivedere le sue priorità e strategie, mettendo in secondo piano i pensieri Indo- Pacifici.