Il 6 dicembre 2024, la Corte costituzionale romena ha annullato gli esiti del primo turno delle elezioni presidenziali tenutesi il 24 novembre, aprendo una crisi politica senza precedenti. Il candidato in testa, Călin Georgescu, è stato accusato di aver beneficiato di manipolazioni informatiche provenienti dall’estero, in particolare attraverso la piattaforma social TikTok. Il ballottaggio, previsto per l’8 dicembre, è stato sospeso e il nuovo governo eletto in seguito alle elezioni politiche del primo dicembre 2024 – nuovamente presieduto dal socialdemocratico Marcel Ciolacu – rappresenta una coalizione formata da Partito Social Democratico (PSD), Partito Nazional-Liberale (PNL), Unione Democratica dei Magiari della Romania (UDMR) e le altre minoranze rappresentate in parlamento. Ad uscire rafforzata nel futuro parlamento di Bucarest, anche in questa tornata elettorale, è stata l’estrema destra: circa il 30% dei deputati e senatori romeni appartengono ai tre partiti sovranisti che hanno superato la soglia di sbarramento, due di questi per la prima volta. La Romania riconferma, quindi, la sua direzione euro-atlantica, ma gli equilibri di potere sono stati profondamente trasformati da queste elezioni politiche.
La data per le nuove elezioni presidenziali non è ancora stata fissata formalmente, ma i partiti che sostengono il governo hanno trovato un accordo per organizzare il primo turno il 4 maggio e il secondo il 18 maggio.
Dopo il primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso novembre, il Consiglio Supremo di Difesa ha analizzato documenti declassificati dai servizi segreti romeni, i quali hanno denunciato una campagna di disinformazione a favore di Georgescu, potenzialmente orchestrata dalla Russia. Secondo i rapporti, 25.000 profili falsi su TikTok avrebbero promosso contenuti pro-Georgescu mentre penalizzavano quelli degli avversari. Il presidente uscente Klaus Iohannis ha quindi deciso di declassificare i dossier, provocando forti tensioni politiche.
La decisione della Corte costituzionale ha scatenato un’ondata di proteste, l’ultima delle quali è quella del 12 gennaio scorso: decine di migliaia di manifestanti, sostenuti dall’estrema destra dell’Alleanza per l’Unità dei Romeni (AUR), hanno accusato il governo di golpe istituzionale. La sfidante Elena Lasconi dell’USR ha denunciato un attacco alla democrazia, mentre il premier Marcel Ciolacu ha difeso la decisione della Corte, evidenziando i rischi di interferenza straniera.
Parallelamente, il Parlamento europeo ha avviato un’indagine sulla sicurezza informatica delle elezioni e sul ruolo delle piattaforme social nella manipolazione del voto: TikTok ha negato qualsiasi coinvolgimento, sostenendo che i suoi algoritmi non favoriscono specifici candidati, ma gli esperti di cybersicurezza restano scettici.
In risposta alla crisi, che solleva seri dubbi a livello istituzionale e democratico in Romania e in Europa, la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa ha pubblicato il 27 gennaio 2025 un rapporto sulle condizioni legali che giustificherebbero l’invalidazione di elezioni: pur senza esprimersi sulla situazione romena specifica, il documento sottolinea che annullamenti di questo tipo devono avvenire solo in circostanze eccezionali, con rigorose garanzie legali. Tuttavia, la legittimità della decisione della Corte costituzionale romena resta oggetto di dibattito sia in Romania che in Europa.
Il 10 febbraio 2025, il presidente Klaus Iohannis ha annunciato le sue dimissioni, effettive dal 12 febbraio, per evitare una crisi politica derivante da una mozione di sospensione presentata dai partiti di estrema destra in parlamento. Il presidente del Senato, Ilie Bolojan, ha assunto la carica di presidente ad interim fino alle nuove elezioni. Bolojan, ex sindaco e leader del Partito Nazional-Liberale, ha dichiarato di essere pronto a garantire la stabilità del Paese durante questo periodo di transizione.
Con le nuove elezioni fissate per maggio 2025, i partiti tradizionali – PSD, PNL e UDMR – hanno deciso di sostenere un candidato comune per arginare l’avanzata dell’estrema destra. Tuttavia, è indubbio il fatto che il caos elettorale ha alimentato la sfiducia nelle istituzioni e rafforzato i movimenti populisti. Georgescu, escluso dalla corsa presidenziale, ha presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) – che ha respinto – denunciando la violazione del diritto a elezioni libere.
La crisi romena evidenzia la necessità di un rafforzamento delle istituzioni democratiche europee di fronte alle minacce ibride: per prevenire future interferenze e garantire elezioni libere e trasparenti, l’Unione Europea deve adottare un approccio strategico su più livelli. È fondamentale accelerare l’implementazione del Digital Services Act e del Digital Markets Act, imponendo obblighi più stringenti per garantire la trasparenza degli algoritmi e prevenire la manipolazione elettorale: l’UE dovrebbe investire in infrastrutture digitali autonome e sviluppare piattaforme social europee regolamentate, riducendo la dipendenza da aziende extraeuropee e limitando l’impatto delle campagne di disinformazione che provengono dall’estero. La sicurezza del continente passa anche attraverso un rafforzamento del coordinamento con la NATO per proteggere il fianco orientale, aumentando gli investimenti nella cybersicurezza e nella protezione delle infrastrutture critiche.
Oltre a questo, la Commissione Europea dovrebbe condizionare i fondi UE a riforme concrete sulla trasparenza della spesa pubblica e sull’indipendenza della magistratura, così da ridurre il rischio di crisi istituzionali future.
Ma la vera risposta al populismo passa da un’Europa più sociale: le disuguaglianze economiche alimentano la sfiducia nelle istituzioni e il consenso ai movimenti sovranisti. L’UE deve rafforzare il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e investire in salari dignitosi, welfare e coesione economica. Se l’UE non saprà rispondere con misure concrete, il rischio sarà che eventi simili si ripetano altrove, compromettendo la coesione europea e aprendo la strada a derive autoritarie e populiste.
La Romania è un banco di prova per la stabilità dell’Europa centro-orientale, e l’UE dovrebbe rafforzare il sostegno economico e politico ai Paesi più esposti alle influenze destabilizzanti.