I disastri climatici in Asia e il ruolo dell’Italia

Residents look at cars piled up after being swept away by floods in Valencia, Spain, Wednesday, Oct. 30, 2024. (AP Photo/Alberto Saiz)

Quest’estate, l’Asia meridionale ha patito le conseguenze di una stagione dei monsoni che
ha portato alluvioni devastanti in tutta la regione. Dall’Afghanistan al Bangladesh, abitazioni,
infrastrutture e vite umane sono state perse, e i governi hanno lanciato richieste di aiuto alla
comunità internazionale per soccorrere le loro popolazioni colpite.
Per fare degli esempi, a fine agosto, le Nazioni Unite riportavano 18 milioni di persone
colpite dalle alluvioni solo in Bangladesh, con gravi danni a terreni fondamentali per il
sostentamento delle popolazioni locali, soprattutto nelle regioni di Chattogram e Sylhet.
In Nepal, tra i molti morti a causa alluvioni, un tragico incidente è stato particolarmente
discusso, quando due autobus con 60 persone a bordo sono stati travolti da una frana e
trascinati in un fiume.
In questo contesto, è impossibile non chiedersi quali siano state le risposte internazionali
alle domande di aiuto, dopo aver sentito parlare così tanto di quanto il cambiamento
climatico sia un problema da affrontare globalmente, senza lasciare nessuno indietro.
Quest’estate in Asia meridionale, organizzazioni internazionali e ONG si sono attivate per
supportare le comunità locali, come per esempio la Croce Rossa e CARE, aiutando sia con
fondi monetari sia distribuendo articoli di emergenza e aiutando le regioni a rendere le
strade riutilizzabili il prima possibile. Altre, come l’UNICEF e il World Food Programme,
spingono per il continuo e accelerato investimento e aiuti umanitari. Questa richiesta arriva
dopo un autunno 2023 pieno di speranza, avendo sentito i governi dei paesi più ricchi del
mondo promettere grandi somme al Loss and Damages Fund al COP28. In realtà è stata
proprio l’Italia, a Dubai, a fare una delle prime grandi promesse per contribuire al L&D Fund
con 100 milioni di euro, proponendosi come un paese leader nell’affrontare le distruzioni
causate dai disastri naturali collettivamente e coscienziosamente.
Queste promesse sono importanti, ma scenari devastanti al di fuori dell’Asia del Sud
potrebbero rallentare la loro vera implementazione. Infatti, non è stata solo questa regione a
soffrire le conseguenze di gravi alluvioni e l’effetto del cambiamento climatico quest’estate.
L’uragano Helene negli Stati Uniti ha colpito cinque stati: anche qui, morti e gravi danni alle
infrastrutture sono stati dichiarati, con governi statali e il governo federale preoccupati per
quello che sicuramente è solo l’inizio di eventi climatici disastrosi causati dal cambiamento
climatico, che li costringe a usare molto risorse umanitarie e monetarie per aiutare i civili e
proseguire alla ricostruzione delle infrastrutture perse. L’Europa non è stata risparmiata:
l’Austria, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Spagna e anche l’Italia sono state
colpite da piogge torrenziali che hanno causato gravi alluvioni, che hanno costretto parte
delle popolazioni dei paesi ad abbandonare le loro abitazioni.
Ora come non mai, è possibile rendersi conto che il cambiamento climatico e sui effetti non
possono essere considerati come problemi nazionali o regionali: sono dilaganti, pericolosi
per tutti, e necessitano risposte collettive. Ma proprio mentre sempre più paesi si
confrontano con le conseguenze del cambiamento climatico, meno sembrano disponibili a
offrire supporti ad altri paesi a rischio. Per esempio, il Center for Strategic and International
Studies ha fatto appello al governo statunitense, esortandolo a mandare aiuti in Myanmar,
citando responsabilità collettiva per aiutare i paesi a rischio di cambiamento climatico,
soprattutto quando già fragile a causa di difficili situazioni politiche. Tuttavia, non è una
sorpresa che i gravi danni all’interno degli Stati Uniti hanno spostato i loro interessi,
allineandoli ai problemi nei suoi Stati.

Insomma, proprio mentre il cambiamento climatico richiede più aiuti internazionali, gli stati si
trovano a guardare internamente. Eppure, l’Italia e l’Europa farebbero bene a guardare il
contesto globale più ampiamente. In primis, perché non c’è dubbio che continuino ad essere
i paesi che contribuiscono meno alla crisi climatica a subirne i costi più pesanti: le alluvion
sono state affrontate in tre continenti quest’estate e autunno, ma nell’Asia meridionale hanno
causato morti e perdite sentite più fortemente, senza dubbio anche a causa di infrastrutture
e capacità di soccorsi meno preparate. Proprio per questo, non ci si deve dimenticare delle
promesse fatte per il L&D Fund, ma anzi, diventare più ambiziosi. Inoltre, l’Italia anche e
soprattutto quando sente alle porte di casa le stesse crisi che ci sono in altri continenti deve
imporsi per costruire una comunità internazionale forte, collaborativa e capace di supportarsi l’un l’altro con risorse, fondi monetari e best practices. Esempi su cui l’Italia può basarsi sono l’European Union – South Asia Capacity Building for Disaster Risk Management
Program, che si è concentrato sul creare resilienza nella regione dell’Asia Meridionale, ma
allo stesso tempo ha contribuito alla creazione di sapere comune su come affrontare disastri
naturali con finanziamenti, partnership internazionali e attori nazionali. Inoltre, l’Italia ha già
fatto uso dell’EU Civil Protection Mechanism nel 2023: una volta richiedendo assistenza, e
un’altra portando supporti. Questo meccanismo dimostra che c’è possibilità di ampliare la
cooperazione internazionale, e che paesi come quelli dell’Asia Meridionale non devono
essere lasciati indietro, ma invece contribuire a strategie di disaster risk management più
efficaci. Partire da proposte come queste e contribuire al loro funzionamento e alla loro
creazione renderà l’Italia più coerente nella sua politica di affari esteri di L&D, e più forte a
lungo termine, con strutture di cooperazione ben consolidate.

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