Sono le ultime roccaforti progressiste di quella che fu chiamata Ondata rosa in America latina.
L’Uruguay di Tabarè Vàsquez e la Bolivia di Evo Morales sono i due governi superstiti – nella regione, di quella marea progressista che ha investito e trasformato l’America latina a partire dal 1999, anno del primo governo socialista di Chavez.
Dopo quel primo plebiscito venezuelano, sono stati il Brasile di Lula e Roussef, l’Argentina dei Kirchner, il Cile di Bachelet, il Nicaragua del controverso Ortega, l’ Uruguay di Vàsquez e Mujica, la Bolivia di Morales e ancora l’Ecuador di Correa e il Paraguay dell’ex vescovo Lugo a colorarsi di rosso – o meglio di rosa, e a portare nella regione le politiche di centrosinistra. Nel 2005 in quasi tutto il continente erano insediati governi progressisti e quella linea politica denominata “Socialismo del XXI secolo”.
L’agenda progressista dei Kirchner, Lula, Chavez e Correa ha ottenuto risultati importanti nella regione in termini di lotta alle disuguaglianze sociali, contrasto alla povertà e cooperazione regionale. In Argentina, Brasile ed Ecuador sono state fortemente ridotte disoccupazione, fame e analfabetismo, mentre in politica estera i governi progressisti hanno cercato di rafforzare l’integrazione regionale politica ed economica con il Mercosur, ALBA e Unasur.
La marea rosa però, dopo quasi un quindicennio, si è sgonfiata senza aver risolto molti problemi basilari della regione. La piaga della corruzione non è stata sconfitta, non sono state portate a termine riforme strutturali nei sistemi politici, economici e agrari. La crisi economica e l’instabilità politica e sociale hanno accelerato la fine del ciclo progressista latino.
Il declino dell’egemonia progressista nella regione inizia dall’Argentina, con la sconfitta della coalizione socialdemocratica del 2015. Via via, con sconfitte elettorali, inchieste giudiziarie e dubbie procedure parlamentari ( come nel caso di Lugo) cadranno i governi di sinistra in Brasile, Cile e Paraguay.
Spazzati via da Macri, Pinera, Bolsonaro e con un Maduro ormai sempre più debole e delegittimato, a portare ancora avanti l’agenda progressista nella regione restano i bastioni rossi dell’Uruguay di Vàsquez e la Bolivia di Evo Morales.In attesa di scoprire se l’Argentina – come sembra prevedibile – il 27 ottobre tornerà al kirchnerismo e rinvertirà la rotta verso sinistra, negli stessi giorni anche boliviani e uruguaiani saranno chiamati alle urne per scegliere il loro nuovo presidente.
La tornata elettorale prenderà il via il 20 ottobre dalla Bolivia, paese tra più poveri e arretrati della regione.
A ricandidarsi per la quarta volta – nonostante sia vietato dalla Costituzione e dopo il No dei boliviani al referendum del 2016 – sarà nuovamente il presidente Evo Morales.
Non è la prima forzatura costituzionale, nei quasi 15 anni di potere di Morales, primo presidente indigeno nella storia boliviana .Già nel 2009 il presidente ha fatto approvare la nuova Costituzione per permettergli di ricandidarsi al secondo mandato nel 2010, riuscendo ad essere poi nuovamente eletto nel 2014 dopo una discussa decisione del tribunale elettorale.
Oggi, il presidente ambientalista, anti-colonialista, anti capitalista e anti-imperialista si ricandiderà con il suo Movimento al Socialismo per il quarto mandato consecutivo. Il suo avversario più pericoloso è l’ex presidente Carlos Mesa del Partito Comunidad Ciudadana. Pur se in declino rispetto alle percentuali ottenute in passato Morales è in crescita nei sondaggi delle ultime settimane.
Le sue politiche progressiste hanno riscosso risultati rilevanti nella lotta alla povertà, passata dal 38 al 18%, è stato inoltre quasi sconfitto l’analfabetismo e garantita l’assistenza sanitaria a donne incinte, disabili e anziani. Con le sue politiche economiche, l’economia è cresciuta costantemente – fino al 5% medio annuo – tanto da parlare di Miracolo boliviano o Evonomics.
Le riforme sociali di Morales, dettate da una pura agenda progressista, hanno ridato dignità al popolo indigeno che, guardando arrivare al potere il primo presidente di origine indio, si è sentito partecipe della vita politica del paese.
L’ex sindacalista ha nazionalizzato, nel 2006, le risorse energetiche ( il paese è la seconda riserva di gas naturale del continente) e in virtù della crescita economica elevata ha potuto intraprendere politiche di redistribuzione della ricchezza per combattere le disuguaglianze sociali elargendo sussidi, costruendo infrastrutture e aumentando il salario minimo dei lavoratori.
Lo Stato Plurinazionale di Bolivia, chiamato ad eleggere il suo presidente e a rinnovare il Parlamento, il 20 ottobre dovrebbe confermarsi bastione progressista nel continente, almeno stando agli ultimi sondaggi.
A votare poco dopo, il 27 ottobre – lo stesso giorno dell’Argentina, sarà anche la riva opposta del fiume d’Argento, il Rio de La Plata: il paese della felicità, la Repubblica orientale di Uruguay del ex Presidente povero Mujica.
Qui, nel Paisito, l’onda progressista –un po’ meno rossa rispetto al resto della regione – dura da 15 anni grazie all’alternanza al governo tra Vasquèz e Mujica.
Lui, Pepè Mujica, il Presidente che viveva in una fattoria e che destinava il 70% della sua indennità per i poveri, è stato presidente dal 2010 al 2015.
Con Vasqèz e Mujica governa da 15 anni il “Frente ampio”, coalizione ampia di centrosinistra guidata da Vasqèz dal 2005 al 2010, da Mujica e poi ancora da Tabarez Vasquèz, l’attuale presidente socialista, primo presidente di sinistra nella storia uruguaiana che lo scorso agosto ha annunciato di essere malato di un tumore al polmone ma di voler portare a termine il suo mandato. Né Vasquèz nè Mujica correranno per ulteriore mandato, il primo per limiti costituzionali (non è possibile svolgere due mandati consecutivi), il secondo probabilmente per l’età avanzata.
Il candidato del Frente ampio è Daniel Martinez, ex sindaco di Montevideo. I sondaggi lo danno in testa, anche grazie agli ottimi risultati ottenuti dai suoi predecessori. Le politiche progressiste di Vasquèz, difatti, sono state vincenti dal punto di vista economico. Il pil pro capite del Paisito è il più alto della regione, la crescita economica – pur se rallentata dalle crisi di Brasile e Argentina- negli ultimi 15 ha registrato un tasso medio di crescita del 4,3%. Politiche puramente di sinistra sono state messe in campo anche dal punto di vista dei diritti sociali e civili.
Legalizzato l’aborto e il matrimonio omosessuale, da 5 anni una legge permette la produzione, la distribuzione e la vendita nelle farmacie di marijuana. I due paesi del fiume d’Argento e la Bolivia. Dai loro risultati elettorali, dal ritorno a sinistra dell’Argentina e dalle probabili conferme negli ultimi due bastioni progressisti, capiremo se la marea rosa è destinata a riprendere vigore in America latina.