Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, dopo l’impegno ad uno stanziamento di fondi senza precedenti per sostenere economia e sanità, dopo il distanziamento sociale e l’avvio di misure di lockdown in molte aree del paese, sembrava che l’amministrazione Trump non solo avesse compreso la gravità della situazione ma che fosse anche pronta a prendere tutti i provvedimenti necessari per farvi fronte. Il Partito Democratico americano si stava gia’ mettendo in gioco alla Camera e al Senato per portare avanti proposte ritenute fondamentali per superare la crisi, collaborando con i colleghi Repubblicani. Sembrava dunque che cominciasse a crearsi un clima di condivisione da parte di tutte le forze politiche su quali misure adottare per il bene del paese. E invece improvvisamente, mentre il Parlamento si apprestava ad approvare il mega provvedimento economico con larga maggioranza bipartisan, si sta consumando una nuova divisione su di un postulato esplicitato dal Presidente su Twitter: “la cura non può essere peggiore del problema stesso”. Sembrerebbe che Trump preveda di far tornare gli americani al lavoro il prima possibile, probabilmente subito dopo i 14 giorni stabiliti finora, ignorando così gli allarmi lanciati dalle autorità sanitarie (l’Organizzazione Mondiale della Sanità teme che gli Stati Uniti potrebbero presto diventare il prossimo epicentro della pandemia, a causa dell’impennarsi della curva dei contagi).
L’economia è al centro di preoccupazioni simili a quelle esistenti in Italia e nel resto d’Europa, per cui si sta lavorando ad una mediazione tra due interessi generali: quello a che la produzione non si azzeri e quello di tutelare la salute di cittadini e lavoratori. Una sintesi non facile, su cui c’è un ampio confronto tra le forze politiche. Diversi Stati degli USA stanno adottando misure di lockdown sempre più restrittive: Washington State, Oregon, California, Wisconsin, Michigan, New York ed altri. Si tratta di provvedimenti che ormai riguardano oltre 100 milioni di persone, ma decisi autonomamente dai governatori perché l’amministrazione Trump non ha messo in atto una strategia di contenimento federale. Il Presidente ha mantenuto un atteggiamento ambiguo anche nei confronti dei Democratici che, nonostante stiano collaborando ai provvedimenti in discussione nel Parlamento, avevano accusato i colleghi Repubblicani di aver favorito troppo le grandi industrie e le multinazionali rispetto ai comuni lavoratori. La disoccupazione, infatti, che aveva recentemente raggiunto dei minimi storici, è già in crescita. Trump l’istrionico, Trump il populista, anche stavolta ha deciso di non adeguarsi, di andare contro la corrente, continuare ad attaccare, riaprire presto le fabbriche e le città, sminuire la gravità della malattia. Il ritorno ad un atteggiamento simile a quello iniziale, presto scomparso al rapido aggravarsi della situazione sanitaria. Si profila così, dopo un duro braccio di ferro sul contenuto delle misure da adottare, un altro scontro sull’intera strategia per la nazione.
Nel frattempo i Democratici, nel mezzo delle primarie, si trovano in un’impasse complicata da superare. Nancy Pelosi, speaker della Camera dei deputati, e Chuck Schumer, capogruppo dei Dem al Senato, nonostante il clima di aperto contrasto con i colleghi Repubblicani ulteriormente esacerbato dall’impeachment, stanno collaborando con loro per restituire ai cittadini americani il clima di unità di cui c’è bisogno per affrontare un’emergenza nazionale e per adottare i provvedimenti necessari a superarla. Allo stesso modo i governatori e i sindaci democratici delle aree più in crisi sono obbligati a negoziare col governo federale per ottenere più aiuti possibile; in prima linea Andrew Cuomo (Stato di New York) e Bill De Blasio (NYC). Con le primarie ferme, non si sa ancora per quanto, si tratta – dal punto di vista strettamente elettorale – di un sacrificio per i Dem: se le loro proposte porteranno dei benefici, Trump le utilizzerà per alimentare la retorica del Presidente che ha guidato la nazione nel suo momento più difficile dal dopoguerra.
Per quanto riguarda le primarie Democratiche, solo poche settimane fa si discuteva su queste pagine della litigiosità fratricida del dibattito, una lotta ormai da quattro anni ferma alla frattura clintoniana. Un cleavage riproposto in forma più blanda anche stavolta tra candidati ‘moderati’ e candidati ‘radicali’, Joe Biden e Bernie Sanders. Riuscirà questa crisi a riunire il Partito Democratico? Nonostante Sanders non si sia ancora ritirato, nelle ultime settimane Biden sta facendo proprie alcune istanze che potrebbero aprire le porte di una riappacificazione, ad esempio dichiarando che sceglierà una donna per affiancarlo nel ticket presidenziale. Gli osservatori auspicano che possa essere una donna più a sinistra di lui, magari fra quelle candidate alle primarie come le senatrici Warren e Harris. Un passo importante, ma non sufficiente. Altre due novita’ sono invece più direttamente collegate alle proposte dell’area liberal. La prima riguarda investimenti pubblici nell’educazione: Biden ha dichiarato che supporterà la proposta di College gratuito per studenti provenienti da famiglie sotto ad un certo reddito e metterà mano al sistema dei prestiti universitari. La seconda proposta, suggerita dal clima di grave incertezza per la salute pubblica, riguarda proprio la sanità, argomento molto caro a Sanders. Dopo aver attaccato il Senatore del Vermont proprio sui rischi del suo “Medicare for All” – per altro citando disgraziatamente come esempio negativo la sanità pubblica italiana – Biden ha proposto che, per l’emergenza Coronavirus, le cure siano gratuite e accessibili a tutti.
Le crisi, se possono avere un risvolto positivo, è forse proprio quello di mettere in dubbio le nostre certezze e, anche per quanto riguarda i Democratici americani, non possiamo che augurarci che questa notte dell’umanità porti consiglio, riunendoli per sconfiggere un avversario comune. L’evolversi dell’emergenza negli Stati Uniti e la risposta delle forze politiche avrà un grande impatto sull’Italia e sull’Europa, in particolare c’è da chiedersi se possa essere un banco di prova da un lato per tutti i populismi e dall’altro per le forze democratiche e neoliberali. Uno scontro con una posta davvero troppo alta e che non avremmo mai voluto veder arrivare.