Di Daniel Pommier Vincelli*
Due civili azere — una donna e una bambina di due anni– sono morte, nella notte tra 4 e 5 luglio, a seguito di un attacco delle forze armene con mortai e lanciagranate, a Fizuli lungo la “linea di contatto” del Nagorno Karabakh. I deputati democratici, Cristina Bargero e Khalid Chaouki, hanno espresso solidarietà alle vittime e invitato al ritiro delle forze armene dai territori occupati nel conflitto del 1992-1994. Quello del Nagorno Karabakh viene spesso definito un “conflitto congelato”. In realtà è una guerra dimenticata, soprattutto dalla comunità internazionale, che periodicamente torna a infiammarsi colpendo la popolazione civile. Dal 1988 il processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica venne segnato, in Caucaso, da un conflitto etnico tra le repubbliche sovietiche di Armenia e Azerbaigian, che sarebbero diventate Stati indipendenti nel 1991. Il Nagorno Karabakh, una regione azerbaigiana abitata dalle due nazionalità e con forte profilo multiculturale, divenne allora l’oggetto dell’irredentismo armeno e si favori un processo secessionista. Giuridicamente il Nagorno Karabakh non esiste. Nessun Paese del mondo, a partire dalla stessa Armenia, ne ha riconosciuto l’indipendenza e quattro risoluzioni delle Nazioni Unite richiamano all’integrità territoriale dell’Azerbaigian, sia per il Karabakh che per i territori occupati. La guerra scoppiata nel 1992 non si risolse soltanto nell’occupazione armena della regione, ma anche di altri sette distretti azerbaigiani non reclamati dall’Armenia, ma occupati per ragioni strategiche. Ancora oggi, a un quarto di secolo dagli avvenimenti, circa un milione tra rifugiati interni e profughi azeri vive in Azerbaigian, scacciati dalle proprie case e dal proprio territorio. E’ il prezzo più sanguinoso, assieme alle vittime della linea di contatto, di un conflitto che la comunità internazionale sembra incapace di risolvere. E’ il cosiddetto gruppo di Minsk, costituito in seno all’Ocse e presieduto da Francia, Usa e Russia, ad avere la titolarità dei negoziati. L’anno prossimo l’Italia assumerà la presidenza dell’Ocse. Il nostro Paese possiede un’immagine positiva in Caucaso, con forti rapporti economici e culturali con i due Paesi. Può svolgere una funzione importante nel promuovere la ripresa di negoziati per spegnere una fonte di conflitto e instabilità nel cuore dell’Eurasia.
Daniel Pommier Vincelli è ricercatore di sociologia dei fenomeni politici presso l’università La Sapienza di Roma. Dottorato di ricerca in relazioni internazionali, autore di numerose pubblicazioni sul Caucaso e lo scenario post sovietico. Insegna al corso di laurea in inglese in cooperazione internazionale alla Sapienza. Membro dell’Associazione Italiana di Sociologia e della Association for Studies of Nationalities della Columbia University