La transizione energetica è sempre più urgente, e l’Unione Europea considera l’area del Mediterraneo particolarmente adatta alla produzione di energia rinnovabile. Tuttavia, l’urgenza di questa transizione rischia di oscurare l’impatto sociale e ambientale che essa può avere sui paesi del Nord Africa e in particolare sulle comunità locali. I progetti di transizione energetica in Nord Africa, infatti, si caratterizzano spesso per la mancanza di coinvolgimento delle comunità locali e una scarsa attenzione ai rischi per l’ambiente. Questo articolo analizza lo stato attuale della transizione e offre delle linee guida per un partenariato giusto ed equo con i paesi del Nord Africa.
Sono diversi i progetti di grandi centrali sulla sponda sud del Mediterraneo: in Marocco la centrale Noor costituisce il più grande complesso di energia solare al mondo, mentre in Tunisia è in programma la costruzione della centrale TuNur. In Egitto, invece, è previsto che il Benban solar park diventi la più grande struttura fotovoltaica al mondo. Ma chi fruisce dell’energia prodotta da queste centrali? Mentre nel caso marocchino la produzione di energia è destinata sia al mercato nazionale che a quello estero, nel caso di TuNur tutta la produzione verrà esportata in Europa. Vi sono inoltre pressioni dell’Unione Europea per facilitare l’azione degli attori internazionali all’interno di questi mercati: a titolo di esempio ricordiamo le pressioni esercitate dall’Unione Europea sulla Tunisia attraverso l’ambasciatore tedesco a partire dal 2013, con l’obiettivo di convincerla a sottoscrivere l’Energy Charter Treaty; tra le disposizioni contenute in questo trattato vi è la possibilità per gli investitori di fare causa ai governi qualora le politiche attuate dagli Stati abbiano effetti negativi sui loro profitti.
La costruzione di grandi centrali implica la necessità di individuare grandi aree adatte alla costruzione di queste strutture: spesso in Nord Africa le aree considerate più adatte sono le aree desertiche, secondo una retorica che racconta queste aree come porzioni di territorio inutilizzate e quindi particolarmente adatte, oscurando il valore che queste terre hanno per le comunità locali.
Questi progetti vengono realizzati su terre spesso espropriate alla popolazione locale, con conseguenze sulle attività economiche della zona: è il caso del Marocco, dove nel 2010 ottomila abitanti del villaggio Noor-Ouarzazate hanno perso il loro accesso al pascolo collettivo a causa dell’appropriazione massiccia di terreni per la costruzione del complesso solare Noor. E’ anche il caso della Tunisia, e non solo nell’ambito dell’energia solare: l’ingrandimento di una centrale eolica nel 2009 nel villaggio di Borj Salhi è avvenuto attraverso l’espropriazione delle terre degli abitanti locali; oltre all’arretramento delle coltivazioni di ulivi e l’erosione del suolo, la presenza della centrale ha danneggiato la qualità di vita degli abitanti e del bestiame, disturbati dal rumore continuo della centrale.
Per quanto riguarda le opportunità occupazionali, l’offerta di lavoro è spesso scarsa in rapporto ai bisogni della popolazione; inoltre, si tratta quasi sempre di lavoro mal pagato e precario, in quanto necessario soltanto per le prime fasi di costruzione e avviamento del progetto: la manutenzione delle centrali, infatti, richiede pochi impiegati.
Le modalità con cui sta avvenendo la transizione, quindi, sembrano riprodurre quelle con cui sono state impostate le politiche estrattiviste: parte della popolazione subisce l’impatto dello sfruttamento delle risorse naturali senza beneficiare degli effetti, dando luogo, così, a quello che viene definito come il paradosso dell’abbondanza.
L’Unione Europea ha sottolineato in diverse occasioni l’importanza del coinvolgimento di tutti gli stakeholder nel processo di transizione, in particolare a livello locale. Tuttavia, le modalità con cui avviene questo coinvolgimento sembrano reiterare rapporti coloniali. Emblematico il caso di Masen in Marocco: qui l’azienda ha avviato, parallelamente alla costruzione della centrale, una serie di progetti di sviluppo; l’intervento sul territorio, però, non è avvenuto con il consenso della comunità coinvolta ed è stato piuttosto invasivo, dal momento che Masen agisce come un welfare state di prossimità, intervenendo su diversi settori fondamentali nella vita quotidiana della comunità locale.
Dall’analisi effettuata, emerge la necessità di rompere con la concentrazione di potere in Nord Africa: tale concentrazione, spesso utilizzata come parametro per rilevare l’eccezionalità dei paesi del Nord Africa, non riguarda soltanto la politica interna, ma anche le ingerenze delle istituzioni internazionali.
Nell’ambito dell’attività diplomatica con i governi del Nord Africa, l’Unione Europea dovrebbe smettere di fare pressione sui governi locali affinché conformino la loro legislazione o alle aspettative degli investitori esteri, in modo da rispettare il diritto di ogni paese ad avere il controllo sul processo di transizione. Inoltre, i progetti realizzati nei paesi del Nord Africa devono prevedere che l’energia sia innanzitutto fruibile dalla popolazione locale. Nell’ambito della cooperazione euro-mediterranea, va attivato urgentemente, in collaborazione con le imprese e col mondo accademico, un processo di technology transfer che garantisca agli Stati del Nord Africa e ai loro cittadini la partecipazione al processo di transizione. Solo su queste basi è possibile pianificare una transizione energetica giusta e sostenibile.
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