Al 20 marzo i numeri ufficiali in Russia parlano di un totale di 253 contagiati nel paese (149 a Mosca) e una vittima del Coronavirus, una donna di 73 anni. Sebbene sia stata registrata una crescita esponenziale negli ultimi giorni (domenica scorsa i casi erano 63), restano dubbi sulla veridicità dei dati, che sembrano davvero troppo bassi, soprattutto per una città di 12 milioni di abitanti come Mosca, a quasi due mesi dal primo caso nel Paese, e senza che la città sia stata messa in quarantena.
La Russia era stata tra i primi paesi a chiudere le frontiere con la Cina e a imporre un periodo di due settimane di quarantena a tutti coloro che rientravano dall’Italia (e dall’Iran, la Corea del Sud, la Francia, etc., in base all’evoluzione dei contagi nel mondo). Anche immaginando che queste misure siano riuscite inizialmente a limitare il contagio – e nonostante l’impossibilità di conoscere il numero esatto di casi nazionali di coronavirus – non ci sono dubbi che ci siano state alcune carenze, ad oggi, nella gestione della crisi.
Le carenze nella gestione della crisi
La prima, fondamentale, riguarda l’utilizzo dei tamponi per riscontrare la positività al virus. In un articolo di mercoledì scorso, due giornalisti del Moscow Times hanno ricostruito l’arzigogolato sistema burocratico che fa sì che ad oggi un solo laboratorio fuori Novosibirsk in Siberia, la Vektor, possa determinare il risultato dei tamponi fatti in tutto il paese. Oltre a ciò, l’articolo sottolinea che la sola tipologia di tamponi utilizzata al momento è relativamente poco sensibile, il che porta a non riscontrare la positività al virus di molti casi lievi e, quindi, a sottovalutare con ogni probabilità il numero dei contagiati.
Nell’ultimo mese il governo ha anche fatto passare l’idea (in linea con la visione del mondo putiniana) che il virus fosse un nemico venuto dall’esterno, portato dallo straniero, e mai un problema interno, nazionale. A inizio marzo il presidente Vladimir Putin ha sostenuto che la Russia era vittima di fake news provenienti dall’estero che miravano a creare il panico tra la popolazione, e chiesto di conseguenza che i cittadini russi venissero ‘bene informati’ sulla situazione. Senza troppi complimenti, tra febbraio e marzo almeno duecento stranieri che avevano violato le rigide regole della quarantena (il cui rispetto è garantito, tra l’altro, da un sistema di riconoscimento facciale dei passanti) sono state deportate nei loro paesi di appartenenza.
L’incognita referendum costituzionale
Quello che è ancora più difficile da stabilire, ma importante da considerare, è il collegamento tra i numeri ufficiali, le misure governative progressivamente prese contro il Coronavirus, e il referendum costituzionale previsto per il 22 aprile prossimo. Nel mezzo della crisi globale delle ultime settimane, in Russia c’è stato un colpo di scena. Il 9 marzo, alla Duma, il contenuto della riforma costituzionale presentato da Putin stesso a gennaio – che prevedeva un rafforzamento del parlamento e escludeva la possibilità che venisse rieletto presidente per una quinta volta nel 2024 – è stato stravolto. Contrariamente all’annuncio iniziale, Putin potrà governare il paese fino al 2036 grazie a un ‘annullamento dei mandati precedenti’. I russi sono chiamati ad esprimersi sulle modifiche costituzionali in un referendum ad aprile, che Putin vuole diventi un plebiscito personale, anche per rafforzare la sua presidenza attuale. In linea con altri paesi, in Russia è stato stabilito che almeno fino ad aprile, per ragioni di sanità pubblica, ogni manifestazione con più di 50 persone non sarà permessa. Il Coronavirus in questo caso è venuto in aiuto del Cremlino, che non deve sforzarsi di trovare scuse per impedire una mobilitazione contro la riforma, programmata fin dal giorno successivo all’annuncio.
Allo stesso tempo, però, pone il governo di fronte a dei seri dilemmi e incertezze sulle conseguenze che il virus e una sua mala gestione potrebbero avere sul sostegno popolare e la partecipazione al voto referendario. Da un lato si sta tentando di ridurre al minimo il panico, dando l’impressione che tutto sia sotto controllo, a partire dai numeri. Dall’altro, però, se mai la situazione (oltre al crollo del prezzo del petrolio attuale e la crisi economica da attendersi) dovesse da un giorno all’altro sfuggire di mano e la mancanza di trasparenza governativa si scontrasse con l’evidenza di ospedali al collasso, l’effetto in termini di fiducia e di supporto alla riforma potrebbe essere esattamente l’opposto di quello sperato.