Gender-Blind Recovery Fund: il fondo che ha dimenticato le donne.

Se ne parla da mesi e, alla fine, il Recovery Fund è stato approvato: 750 miliardi di Euro suddivisi tra 390 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti, finanziati attraverso l’emissione di debito garantito dall’UE. E da mesi si parla anche di una pianificazione dettagliata degli investimenti da effettuare in settori strategici come il digitale, il settore energetico, delle infrastrutture e dei trasporti. Tuttavia, poco si è detto circa  l’unicità del Recovery Plan quale occasione per affrontare strutturalmente la questione della diseguaglianza tra uomini e donne in Italia, uno dei maggiori ritardi del nostro Paese.

Su input dell’europarlamentare tedesca Alexandra Geese il gruppo dei Verdi Europei ha commissionato l’unico studio, fino ad adesso effettuato, di Valutazione e Impatto di Genere del Next Generation EU, condotto dall’economista italiana Azzurra Rinaldi e dall’austriaca Elisabeth Klatzer. Lo studio, utilizzando dieci indicatori chiave come l’occupazione, il work-life balance, la violenza di genere, gli obblighi di gender-budgeting, per menzionarne solo alcuni, è arrivato alla chiara ed innegabile conclusione che le donne sono state più esposte degli uomini alla pandemia sia perché rappresentano la maggioranza della forza lavoro nel settore sanitario, sia perché sono state le donne ad essere più assorbite da attività non retribuite di cura della casa e dei figli. Inoltre, uno dei principali punti critici rilevati sul Next Generation EU, dal report in questione, è la completa mancanza di una prospettiva di genere tanto da definire il Recovery Fund “cieco da un occhio”. La cecità nascerebbe proprio dalla costatazione che gli aiuti finanziari previsti dall’Unione Europea confluiranno nei settori a predominanza maschile (i già citati settori del digitale, energia, infrastrutture e trasporti) senza correttivi volti ad incentivare l’inclusione delle donne. Inoltre, poco rilievo è stato dato sugli investimenti nei settori in cui sono le donne ad essere maggiormente occupate come l’economia della cura, l’istruzione e i servizi per la prima infanzia. Al fine di chiedere che il 50% dei fondi venga destinato alle politiche per la parità di genere, la stessa Alexandra Geese, ha lanciato la petizione #HalfOfIt.

Ora che il Recovery Fund è stato approvato, come dovrebbe il Governo italiano investire parte dei fondi stanziati per garantire la parità di genere sul mercato del lavoro? Partendo dal presupposto che la parità di genere oltre ad essere un diritto sociale cardine dell’UE, è anche una condizione essenziale per un’economia più innovativa, competitiva e prospera, è assolutamente necessario che l’Italia definisca chiaramente alcune azioni prioritarie allo scopo di costruire un Paese garante della parità di genere in cui la discriminazione sessuale e la disuguaglianza strutturale tra donne e uomini rimangano appannaggio del passato.

• Prevedere interventi di stimolo dell’economia anche nelle attività a prevalenza femminile (cura della persona, ristorazione, turismo): a tal fine si potrebbero, ad esempio, proporre delle quote in modo da riportare l’equilibrio di genere sul mercato del lavoro anche in questi settori, guardando ad una prospettiva di lungo periodo che favorisca la conservazione del posto di lavoro delle donne)

• Permettere alle donne di realizzarsi in un’economia basata sulla parità di genere introducendo misure volte a favorire un maggiore equilibrio tra attività professionale e vita familiare. Interventi essenziali a tal fine includono il congedo di paternità obbligatorio, l’aumento del numero di asili nido che coprano almeno il 60% dei bambini tra gli 0 e i 3 anni, rendere le scuole dell’infanzia scuola dell’obbligo.

• Introduzione della Legge sulla parità salariale donna-uomo per affrontare e sradicare il problema del divario retributivo e pensionistico di genere. Sebbene il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, sancito dal Trattato di Roma, sia stato recepito nel diritto dell’UE e, di conseguenza, in quello dei singoli stati membri, per eliminare in toto il divario retributivo di genere è necessario risolvere tutte le sue cause profonde, compresa la minor partecipazione delle donne al mercato del lavoro, il lavoro invisibile e non retribuito, il maggior ricorso al tempo parziale e alle interruzioni di carriera, nonché la segregazione verticale e orizzontale basata su stereotipi e discriminazioni di genere.

• Prevedere una robusta valutazione di impatto di genere, dati disaggregati e gender budgeting per tutte le proposte del pacchetto Next Generation Eu. In effetti, lo stesso Parlamento Europeo ha varato una risoluzione a commento del Next Generation EU e del quadro finanziario pluriennale in cui richiedendo, ai singoli stati membri, l’implementazione del Gender Mainstreaming, Gender Budgeting e Gender Impact Assessment.

Tali interventi, e tanti altri ancora, sono necessari poiché se le donne non lavorano, la crescita del PIL si colloca al di sotto della sua piena potenzialità, con la conseguenza che le misure prese anderebbero in direzione prociclica e lo stesso Next Generation EU diventerebbe inefficiente. Non è più accettabile, nei piani di intervento e rilancio economico, non tenere adeguatamente in conto del ruolo e dell’inclusione delle donne: oltre a rimetterci in termini di stabilità economica dell’intero Paese, si tornerebbe indietro di decenni rispetto ai progressi fatti sul piano della parità di genere.

Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Previous Post

La nuova strategia europea per le materie prime critiche: verso un approvvigionamento più sicuro e sostenibile.

Next Post

Gli ammortizzatori sociali e le politiche attive: la riforma che ci serve

Related Posts