Anthony John Blinken, classe 1962, è il futuro Segretario di Stato dell’amministrazione di Joe Biden che entrerà in carica dal 20 gennaio 2021. Blinken, già Sottosegretario di Stato e poi Vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale durante le due amministrazioni Obama, è un diplomatico di altissimo profilo ed è consigliere di Biden per la politica estera da tempo. La sua candidatura alla carica di Segretario di Stato si è rafforzata nel momento in cui si è iniziato a capire che Biden avrà probabilmente bisogno di qualche ‘Yea’ in più al Senato, dato che Blinken piace anche ai Repubblicani rimasti atlantisti, ma non solo. Biden l’ha scelto soprattutto per tre caratteristiche: 1) è il principale responsabile, con Jake Sullivan, dell’elaborazione della nuova politica estera internazionalista e multilaterale della nuova Amministrazione, definita una ‘politica estera per la classe media’; 2) durante tutto il 2020 ha lavorato principalmente con i progressisti del partito democratico per elaborare questa nuova politica, ma è comunque gradito a tutte le aree del partito e oltre come; 3) ha un’impronta e una storia personale fortemente collegata all’Europa, dando un’idea chiara di quello che sarà l’orientamento di politica estera post-Trump. Inoltre, scegliendo Blinken, Biden vuole dimostrare continuità con l’amministrazione Obama, ma non diretta dipendenza (come avrebbe potuto sembrare se avesse scelto l’ex National Security Advisor Susan Rice). L’impressione che si vuole evitare di suscitare è che Biden intenda vivere nel passato o, peggio, che non voglia correggere la rotta rispetto ai passi falsi commessi durante l’era Obama: Blinken ha già avuto modo di dichiarare che il mondo non è quello di quattro anni fa, e su questo non si fa illusioni.
La leadership USA dovrà tornare a basarsi sull’UE
Uno degli aspetti più difficili della transizione sarà proprio quello delle relazioni internazionali degli USA. In questo settore, la transizione è stata anticipata dall’elaborazione della già menzionata nuova visione culturale e politica, un quadro teorico e programmatico reso pubblico con un articolo uscito su Foreign Affairs, a firma del futuro presidente: “Why America Must Lead Again”. Si tratta di un ragionamento ad ampio spettro sui motivi per tornare al multilateralismo, accompagnati dalla descrizione programmatica degli obiettivi da raggiungere. Al centro di questo ragionamento c’è una forte presa di posizione anti-sovranista e antiautoritaria, atta a ribadire che il benessere economico e sociale degli Stati Uniti – da qui l’idea della politica estera “per la classe media” – si basa sulla capacità di leadership, e tale leadership non esisterebbe senza il multilateralismo e l’ideologia democratico-liberale. Tale leadership è basata sulle relazioni internazionali, la più importante delle quali è con l’Europa. Per Biden, l’intero sistema post Seconda Guerra Mondiale è basato sul fatto che la pace e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti dipendono dal benessere e dalla stabilità del Vecchio Continente. Che si vada verso una maggiore autonomia strategica e militare europea, un rafforzamento delle istituzioni politiche comunitarie, o che si resti dove siamo, gli Stati Uniti hanno una sola carta forte da giocarsi – utile anche per tamponare contesti delicati come il Medio Oriente – che è quella di sostenere l’empowerment europeo, anche per riequilibrare il forte appoggio garantito ad Israele e Arabia Saudita. Questo nuovo focus verrà bilanciato dalla presenza di Linda Thomas-Greenfield come ambasciatrice alle Nazioni Unite, che ha una lunga esperienza come specialista di area africana, il cui compito sarà sicuramente quello di insidiare le strategie di Pechino in chiave multilaterale.
Competizione con la Cina
Il contesto forse più mutato in questi anni è quello asiatico, dove Obama aveva puntato ad allargare la propria influenza contenendo l’ascesa del colosso cinese (esempio più noto è l’accordo di Trans-Pacific Partnership). L’ex Presidente aveva anche aperto a Xi Jinping i consessi internazionali più importanti, al fine di ‘socializzare’ la Cina con il normativismo liberale e democratico. Pechino aveva risposto approfittando delle aperture di Obama e successivamente della chiusura imposta da Trump e della perdita della capacità di leadership degli Stati Uniti, tanto da spingerli ad abbandonare istituzioni strategiche come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Oggi questa partita con la Cina – soprattutto la partita commerciale – si gioca da un’altra parte: l’Europa. Dopo decenni in cui l’eurocentrismo è decisamente passato di moda, per gli Stati Uniti sembrerebbe ora vitale difendere il proprio primato politico, diplomatico e militare con gli alleati europei, relazione in cui la Cina ha iniziato a insediarsi. La competizione con la Cina continuerà a definire il futuro degli Stati Uniti, ma la leadership degli Stati Uniti non si fonda solo sull’egemonia militare ma sulla capacità di costruire e consolidare alleanze. Alleanze fortemente minate dai quattro anni di America First.