Due perdenti fanno un vincitore? – Le primarie Dem dopo il Super Tuesday

Con il raggiungimento della maggioranza relativa in 10 dei 14 Stati in ballo nel Super Tuesday, l’ex Vicepresidente Joe Biden ha acquisito un sostanzioso numero di delegati per la Convention di luglio. Biden  e Bernie Sanders sembrerebbero ormai aver coagulato intorno a loro, rispettivamente, il campo moderato e quello più  di sinistra dell’elettorato Democratico.

L’analisi dei risultati

Analizzando le percentuali emergono però due elementi che suggeriscono che non sia ancora così. Il primo è che, sebbene il campo dei contendenti si sia notevolmente ristretto, Biden e Sanders raramente superano il 50% dei consensi negli Stati in cui vincono. Le loro sono, dunque, maggioranze relative.

Il secondo elemento sono gli altri due candidati che, dopo aver partecipato con risultati deludenti al Super Tuesday, si sono ritirati: Mike Bloomberg ed Elizabeth Warren. Sia l’uno che l’altra erano stati additati dai rispettivi fronti di appartenenza come l’unico ostacolo verso l’affermazione, rispettivamente, di Biden e Sanders. Anche con il loro ritiro, però, i due candidati favoriti stentano ad ottenere la maggioranza. Il problema non erano quindi le due candidature “di disturbo”, ma il fatto che né Biden né Sanders hanno convinto a pieno l’elettorato democratico. Anzi, ancora peggio: non convincono a pieno neppure la propria area di riferimento all’interno dell’elettorato democratico.

Da qua scaturisce la domanda provocatoria: due “perdenti”, e utilizziamo il termine in modo letterale, fanno un vincitore? Come fu per Hillary Clinton nel 2016, sia Sanders sia Biden hanno già tentato la corsa alla presidenza, il primo andandoci vicino alla scorsa tornata mentre il secondo ben due volte, nel 1988 e nel 2008, qualificandosi a malapena. Onestamente, guardando questi due ottantenni si può dire tutto tranne che siano sulla breccia dell’onda o all’apice del loro successo politico. Anzi. Entrambi rappresentano due esperienze, due approcci essenziali all’identità del Partito Democratico, ancora irrisolti ma sbiaditi. E se, come si sta delineando nelle ultime ore, Biden riceverà la nomination, servirà uno sforzo collettivo per superare queste divisioni.

Non basta che gli altri candidati si siano ritirati: l’elevato livello di frammentazione, soprattutto all’interno del fronte moderato del partito, è una condizione profonda, che non va via con un colpo di spugna. Tale frammentazione potrebbe risultare  da un dubbio insinuatosi nei Democratici americani: questi due approcci antitetici, che abbiamo già visto andare in scena e confliggere quattro anni fa, sono poi così produttivi? Eppure, se si dovesse arrivare alla Convention Dem – a Milwaukee il 13 luglio – con un testa a testa Biden/Sanders, saremmo allo stesso esatto punto di allora. Con la differenza che gli elettori di Sanders si sono già turati il naso una volta per votare Hillary Clinton (e forse nemmeno tutti sono riusciti a farlo) e stavolta rivendicano per sé il diritto di dimostrare nelle urne di avere ragione. Anche il tema della contesa sembra essere sempre lo stesso, ossia: si può battere Trump andando a scalfirne il voto moderato oppure si batte Trump sottraendogli il voto di protesta, dei poveri e degli esclusi?

Una fastidiosa sensazione di dejà vu

L’altro nodo che deve affrontare il Partito Democratico americano è quella fastidiosa sensazione di dejà vu, che non va sottovalutata. Abbiamo già visto Bernie Sanders scagliarsi contro l’establishment del partito, incarnato quattro anni fa da Hillary Clinton. A parte qualche iniezione di consenso giovanile sostenuta ad esempio dall’endorsement di Alexandria Ocasio Cortez, il senatore del Vermont ripropone oggi una campagna simile alla precedente, ma con un sostegno ridotto. Certamente, gli elettori di Sanders sono molto motivati, ma l’entusiasmo che li guida sembra aver subito una diminuzione nella capacità di contagio. L’astio nei confronti di Warren ne è un chiaro sintomo. Sanders ha affermato che sebbene il fronte democratico sia diviso su tante questioni, sa perfettamente che queste differenze non sono nulla in confronto a quelle con Trump. Ma l’impressione è che il suo elettorato sia d’accordo solo in parte.

Dall’altro lato, l’ex Vicepresidente di Obama è stato considerato il candidato di punta – avanti nei sondaggi per tutto il 2019- ma la realtà è che Biden non ha mai convinto granché, aggirandosi a lungo attorno al 30% delle preferenze o anche meno. La vittoria in South Carolina lo ha ringalluzzito per il Super Tuesday, proiettandolo di nuovo alla guida del fronte moderato del partito. Ma il fatto stesso che il fronte moderato del partito sia stato tanto frammentato – vedi tra gli altri Buttigieg e Klobuchar – è sintomo della fiacchezza della campagna di Biden. Per lui è stato un bene che la candidatura di Bloomberg si sia sgonfiata molto velocemente, nonostante l’enorme capitale investito dall’ex Sindaco di New York. Ora, è vero che le partite si possono vincere anche ‘a tavolino’ se gli avversari si ritirano, ma è chiaro che non sia proprio la stessa cosa di vincerle sul campo. Si ha ancora tutto da dimostrare, e per Biden è così.

È inevitabile pensare che riproponendosi la polarizzazione interna tra voto moderato e voto radicale, la corsa alla Casa Bianca potrebbe farsi spiacevole per i Dem. Nel frattempo il Presidente Donald Trump, dopo aver insultato anch’egli la Warren, ha reso noto che preferirebbe battersi contro Bernie Sanders. La notizia emerge dopo mesi in cui le indiscrezioni avevano fatto trapelare esattamente l’opposto, ovvero che Trump fosse preoccupato della spinta ‘populista’ del Senatore del Vermont. Anche questa informazione può essere letta in due modi opposti: potrebbe trattarsi della classica strategia di psicologia inversa oppure un’ostentazione di sicurezza, perché si crede di avere trovato il nervo scoperto dell’avversario. Nel frattempo ha già pronta in mano la retorica contro Biden, fondata essenzialmente sul dargli del vecchio rincoglionito. Resta il fatto che con il buco nell’acqua dell’impeachment e queste primarie zoppicanti – ricordiamo l’epica figuraccia del conteggio dei voti dei caucus in Iowa – il Presidente Trump sale nei sondaggi mentre i democratici arrancano. Di sicuro sappiamo che per battere Donald Trump, già ampiamente sottovalutato quattro anni fa, ci vuole ben più di così.

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