Italia, Europa e sbarchi: da una posizione geografica a una posizione politica nel Mediterraneo

Il Mediterraneo resta la frontiera più pericolosa al mondo per donne, uomini e bambini in fuga da guerre e povertà. Secondo IOM, nel 2014 due terzi delle morti per migrazione al mondo si sono verificate tra Nordafrica ed Europa. Solo nel mese di aprile 2015, sono ormai più di 1,000 le ulteriori vite perse.

Le continue morti per migrazione nel Mediterraneo sono incompatibili con i valori enunciati dai Trattati UE. L’attuale politica, basata esclusivamente su un approccio securitario e manchevole di coordinazione tra stati membri e istituzioni europee, ha dimostrato di aver fallito. I migranti, infatti, non sono diretti necessariamente verso i paesi d’approdo, ma verso l’Europa. È l’Unione nel suo insieme, pertanto, ad avere un interesse strategico ad elaborare politiche in grado gestire efficacemente il fenomeno dell’afflusso di donne, uomini e bambini migranti e richiedenti asilo, garantendo il rispetto del diritto internazionale (principio di non refoulement) e dei diritti umani (CEDU) su cui fonda il progetto europeo e la sua proiezione internazionale.

La  “Agenda Europea sulle Migrazioni” della Commissione europea del 13 maggio 2015 è un punto di partenza importante. Il potenziamento dei programmi Frontex Triton e Poseidon, la creazione di un meccanismo europeo di ricollocazione d’emergenza (relocation in emergency situations of mass influxes) e di un meccanismo di reinsediamento (resettlement) sono proposte di fondamentale interesse  per l’Europa e per l’Italia. È quindi cruciale che il Governo italiano si impegni in sede europea, affinché tali proposte non vengano snaturate lungo l’iter d’approvazione e affinché il fenomeno migratorio sia affrontato nel lungo periodo con efficacia e nel rispetto dei valori europei.

Per il Partito Democratico, affrontare la crisi dei migranti nel Mediterraneo significa concentrarsi su tre obiettivi primari: salvare le vite umane, contribuire alla stabilizzazione delle aree di crisi e allo sviluppo dei paesi di partenza, nonché trasformare l’immigrazione in uno dei temi di competenza dell’intera Unione attraverso la condivisione di responsabilità e gli sforzi da parte di tutti gli Stati Membri.

L’Europa ha elaborato il primo e più avanzato sistema regionale di promozione e protezione dei diritti umani; non può dimostrare timidezza o inattività rispetto alle tragedie in corso alle sue frontiere. In Europa e per l’Europa vogliamo che l’Italia ricopra un ruolo propulsivo per fare dell’Unione un modello di attenta gestione dei flussi migratori e di salvaguardia dei diritti di uomini e donne migranti. Per potere avanzare solide richieste e stimoli politici a Bruxelles, il nostro Paese deve a sua volta premurarsi di assicurare e aggiornare le proprie politiche migratorie, d’accoglienza e d’integrazione.

 L’Europa sia un modello per il mondo

  • Il dibattito sulle politiche migratorie deve servire anzitutto per consolidare una seria discussione sul ruolo internazionale dell’Unione europea e, in particolare, all’interno della regione mediterranea. Tale riflessione dovrebbe partire dal riconoscimento che l’incapacità dell’Unione di affrontare con efficacia le gravi crisi che attraversano il suo vicinato mediterraneo (Siria, Libia, Iraq) è una delle cause dell’aumento drammatico dei flussi migratori che ora interessano le nostre frontiere.
  • L’Italia deve promuovere una missione UE di Search and Rescue (S&R), anziché di solo controllo delle frontiere come l’attuale Triton,  che riprenda scopo e mandato di Mare Nostrum e sia dotata di risorse adeguate, per evitare nuove tragedie in mare. L’attuale proposta della Commissione va nella direzione di aumentare sensibilmente i fondi per Triton e Poseidon, ed è molto positivo che l’agenzia europea che coordina il dispositivo navale abbia cancellato il limite di navigazione a 30 miglia dalle coste Ue, ora estendibile a 138 miglia in caso d’emergenza. Tuttavia, sarebbe opportuno cambiarne formalmente il mandato per trasformarlo in una missione di ricerca e soccorso alla quale possano prendere parte anche gli altri paesi del Mediterraneo orientale: Tunisia, Egitto, Turchia. Infine, va sostenuto l’utilizzo al fine di salvataggio di vite umane dei sistemi d’informazione UE già esistenti (il sistema EUROSUR gestito da Frontex, e il sistema della marina militare MARSUR gestito dall’Agenzia Europea di Difesa), con l’obiettivo di arrivare ad una mappatura dei mari europei per poter intervenire prontamente. Occorre inoltre assicurare la definizione di procedure comuni per l’identificazione dei migranti, che possano essere applicate in tempi certi, con misure puntuali, nel rispetto dei diritti umani fondamentali e della dignità delle persone e il costante monitoraggio dei diritti umani nelle strutture preposte all’identificazione.
  • Occorre supportare con decisione, inoltre, le proposte di superamento del regolamento di Dublino esplicitamente contenute nella proposte della Commissione europea del 13 maggio 2015. Le politiche europee di asilo e protezione vanno trasformate in una vera politica unica europea dell’asilo (single european asylum policy). Il mutuo riconoscimento delle decisioni nazionali in materia di asilo e protezione sussidiaria deve basarsi su criteri comuni e verificati a garanzia delle procedure e della qualità dell’accoglienza, per il rispetto dei diritti umani delle persone in cerca di protezione, per evitare nuovi casi come la sentenza S.S. contro Grecia e Belgio, CEDU 2011.
  • Va recuperata una solidarietà intra-europea, anche attraverso una equa ripartizione delle responsabilità in base all’art. 80 del TFEU. Il principio del “first safe country”, in base al quale il paese attraverso cui un richiedente asilo entra nell’UE è solitamente responsabile del trattamento della richiesta d’asilo, non è più sostenibile. Il sistema di Dublino crea solo movimenti intra-UE e tensioni tra i paesi di primo arrivo a sud e i paesi di destinazione finale a nord che, nonostante il sistema stesso, continuano a ricevere un alto numero di richieste d’asilo. Questo non fa altro che ampliare i traffici illegali intra-UE con ripercussioni sulla sicurezza complessiva e degli Stati membri. Una vera politica europea unica dell’asilo deve essere basata su un sistema di quote di ricollocamento dei rifugiati in tutti i 28 Stati membri che tengano conto delle realtà socio-economiche dei singoli paesi, un’armonizzazione delle procedure di riconoscimento del diritto d’asilo (per evitare le differenze nei tassi d’accettazione: 77% in Svezia contro 9% in Ungheria e 22% in Francia) e diritti di lavoro e mobilità in Europa per i rifugiati. Nonostante il piano di ricollocamento contenuto nella proposta presentata dalla Commissione europea il 27 maggio vada in questo senso, i 40.000 posti previsti su scala europea sono gravemente insufficienti di fronte alle pesanti emergenze umanitarie attualmente in corso all’interno del vicinato dell’Unione europea. È quindi necessario fare pressione per un sensibile aumento della quota complessiva e rendere strutturale e permanente la condivisione delle responsabilità nell’accoglienza e nel trattamento delle richieste di protezione internazionale, che non si esauriranno nei due anni attualmente previsti per il funzionamento del meccanismo di ricollocamento.
  • Occorre altresì ampliare, precisare e rendere vincolante la proposta della Commissione europea in merito al sistema di reinsediamento (resettlement) con l’introduzione di regole e sistemi certi per il deposito della richiesta d’asilo direttamente nei paesi terzi. A questo riguardo è necessario avviare la cooperazione con EASO e UNHCR per programmi di reinsediamento che garantiscano la possibilità di fare screening già nei paesi terzi – anche tramite le Delegazioni UE in loco – e trasferire legalmente e in sicurezza i rifugiati riconosciuti nei paesi UE. Deve essere possibile depositare domanda d’asilo anche (ma non solo) in “safe haven” sulla sponda sud (Egitto, Tunisia, Turchia, Libano, Giordania) per chi proviene da paesi in conflitto (Siria, Iraq, le nostre ex colonie: Libia, Eritrea, Somalia) e ha diritto alla protezione umanitaria, per dare un’alternativa all’unica possibilità odierna, quella di affidarsi ai trafficanti di uomini.
  • Non si può parlare di immigrazione senza parlare di crescita economica e lotta alla povertà; senza parlare di ambiente, di prevenzione delle catastrofi naturali, di sviluppo sostenibile; senza parlare di libertà civili, religiose e politiche; e senza parlare di diritti troppe volte negati da regimi autoritari. Per gestire le sfide comuni, a partire da quella dell’immigrazione, abbiamo bisogno di partner forti, non deboli. Il 2015 è un anno importante per lo sviluppo globale. L’Onu adotterà a New York, nel prossimo settembre, l’Agenda post 2015 con la definizione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile globali. Il 2015 è anche l’Anno Europeo per lo Sviluppo, finalizzato ad un maggiore e qualificato impegno degli Stati membri e delle loro società civili, che potrà essere verificato già nel prossimo luglio alla Conferenza di Addis Abeba sui finanziamenti per lo sviluppo.  Nell’annunciare la sua partecipazione, il Presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi,  ha messo l’accento sulle opportunità di crescita che si aprono per l’Italia e per l’Europa investendo nello sviluppo del continente africano. Perché l’Africa ha bisogno del nostro aiuto, certo. Ma anche noi abbiamo bisogno dell’aiuto dell’Africa. Le politiche europee sulla migrazione vanno trasformate nella direzione di un approccio integrato tra migrazione e sviluppo (co-sviluppo), come già anticipato dall’Approccio Globale alla Migrazione e alla Mobilità (GAMM), sfruttando le relazioni transnazionali (migrazioni, rimesse, investimenti, ma anche turismo e commercio) per uno sviluppo armonioso e sostenibile dei paesi delle due sponde del Mediterraneo.
  • La cooperazione dell’UE con i paesi della sponda sud per smantellare le reti dei trafficanti di uomini è una priorità e ha dimostrato grande flessibilità operativa e capacità di adattamento. A ciò deve aggiungersi al più presto l’attivazione della missione navale contro il traffico di migranti nel Mediterraneo, proposta dalla Commissione UE nell’Agenda sui Migranti del 13 maggio. L’Italia è in prima linea nell’attuazione del piano d’azione europeo in Libia, che infatti avrà a Roma la sua cabina di regia e sarà guidato dall’ammiraglio italiano Enrico Credendino. Nelle prossime settimane, il nostro Governo deve tuttavia operare importanti sforzi diplomatici per consentire di procedere celermente lungo i due cammini istituzionali paralleli – la decisione da adottare nel quadro del Consiglio europeo del 25-26 giugno e l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite – entrambi necessari per attivare ufficialmente la missione.
  • La missione navale in Libia non può, in ogni caso, sostituire un percorso per aprire vie legali per la migrazione non solo attraverso il Mediterraneo, ma anche all’interno del continente africano. Sul piano regionale, l’Italia deve continuare a stimolare le istituzioni europee per il rafforzamento e l’istituzionalizzazione del processo di Rabat (dialogo tra UE e Africa occidentale sulle politiche migratorie) e del processo di Karthoum (iniziativa UE-Corno d’Africa con il coinvolgimento di Egitto e Libia sulle rotte migratorie lanciata nel corso del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue). Aiuto allo sviluppo, assistenza tecnologica e formazione sono fondamentali per rafforzare le capacità degli stati di partenza e di transito nella lotta ai network criminali. L’obiettivo è il rafforzamento della stabilizzazione istituzionale dei paesi  d’origine – Libia, Corno d’Africa, Africa centrale e occidentale – attraverso una strategia integrata. Non si può lasciare morire uomini e donne nel deserto come ai tempi di Gheddafi. Pertanto, l’Italia deve promuovere un sistema europeo di gestione dei flussi che tenga conto delle necessità dei mercati del lavoro, e che permetta anche ai migranti economici, una volta arrivati, di spostarsi tra i diversi paesi; da realizzarsi a partire dalle Mobility Partnerships con i paesi della sponda sud come da approccio GAMM. Infine, una revisione complessiva del sistema Blue Card che finora si è rivelato inefficace per garantire l’obiettivo per cui è stato ideato, ossia la libera circolazione dei lavoratori altamente qualificati di paesi terzi all’interno dei mercati del lavoro dei Paesi Membri.

 

L’Italia sia un modello per l’Europa

  • L’impegno dell’Italia per una condivisione di responsabilità da parte di tutti gli Stati dell’Unione europea deve essere accompagnata, se non preceduta, da uno sforzo volto a garantire da parte dell’Italia il pieno rispetto della dignità e dei diritti degli individui in fuga dalle guerre, dalle dittature e dalle persecuzioni politiche, religiose, etniche o sessuali.
  • Per quanto riguarda i migranti bisognosi di protezione, parallelamente al lavoro politico a Bruxelles per giungere al superamento del principio di Dublino, occorre colmare la grave lacuna nel diritto interno che ci vede ancora sprovvisti – benché la Costituzione ne faccia un richiamo espresso – di una disciplina organica sulla gestione degli stranieri che reclamano asilo o in generale protezione umanitaria. Dobbiamo garantire informazioni e procedure certe. Se vogliamo pervenire a una disciplina uniforme al livello UE, dobbiamo costituire meritoriamente un modello di riferimento nel diritto interno. A tal fine, sarebbe opportuno strutturare un sistema unico di accoglienza, superando così l’attuale dicotomia tra prima e seconda accoglienza che si traduce attualmente in una propensione alla bassa soglia nella fase di prima accoglienza. Con l’obiettivo di favorire la riconquista dell’autonomia personale e l’emancipazione dal bisogno stesso di accoglienza, occorre invece assicurare un sistema unico con identici standard dal primo approdo dei migranti in Italia, fino all’avvio dei loro percorsi di inclusione sui territori. A tal fine si suggerisce di istituire una cabina di regia in capo agli enti territoriali direttamente interessati e alle regioni, per individuare modalità di raccordo tra i diversi contesti di accoglienza e assicurare strutturate modalità di scambio e di collaborazione con gli enti di tutela. Per evitare ignobili speculazioni e truffe ai danni delle persone più sfortunate e delle casse pubbliche, è di fondamentale importanza anche il monitoraggio e la valutazione degli interventi in tutti i contesti di accoglienza, per verificare l’efficienza e l’efficacia dell’accoglienza in termini qualitativi. Occorre altresì prevedere politiche nazionali e regionali per facilitare l’inserimento sociale ed economico dei richiedenti e dei titolari di protezione internazionale e umanitaria. Affinché il periodo trascorso in accoglienza sia ridotto al minimo in termini di durata, occorre attivare programmi specifici volti a facilitare l’inserimento abitativo, adottando un’equiparazione – per un periodo di tempo limitato successivamente al riconoscimento della stessa protezione – alle categorie in Italia maggiormente svantaggiate. Tale equiparazione andrebbe inoltre estesa ai fini d’includerli nelle misure di sostegno all’imprenditoria, di previdenza sociale e di sgravi fiscali. Gli investimenti per rafforzare le azioni di accompagnamento ai percorsi di inclusione sociale risulteranno proficui per il benessere sociale nelle comunità, alla quale sarà garantito un ritorno anche economico attraverso l’integrazione di nuova forza lavoro e produttiva sui territori.
  • La componente dei minori non accompagnati rappresenta uno dei segmenti più vulnerabili.
    L’attuale assetto normativo non fornisce alle istituzioni e alle organizzazioni deputate alla tutela dei minori stranieri non accompagnati gli strumenti necessari per garantirne una presa in carico adeguata. Pertanto, è indubbia l’urgenza di definire una cornice normativa del diritto ad un’accoglienza dignitosa per i minori che renda stabile l’assetto delle competenze e che fornisca le necessarie salvaguardie al sistema degli enti territoriali. A tal fine, il PD ha messo a punto una proposta di legge che consentirebbe, attraverso una messa a sistema dell’accoglienza di tutti i minori non accompagnati, di ottimizzare i costi e quindi, in ultima analisi, di ridurre la spesa complessiva, migliorando al contempo la qualità dei servizi di accoglienza.
  • Le operazioni di Search & Rescue, da affidare alla responsabilità condivisa dell’Unione europea nel suo insieme, non devono fare venire meno le particolari responsabilità dell’Italia nel monitoraggio dei flussi migratori nel Mar Mediterraneo. Il nostro Paese deve investire anche nello sviluppo di nuovi strumenti, come quelli sviluppati con il progetto Space Shepherd del Politecnico di Milano che si propone di utilizzare i satelliti scientifici e commerciali già in orbita per identificare la presenza di barche di migranti, tracciarne la rotta, ed eventualmente supportare le operazioni di soccorso.
  • Sarebbe inoltre importante che l’Italia si dotasse di un registro governativo con la lista dei dispersi in mare mentre tentavano di raggiungere l’Italia sui barconi. Uno strumento fondamentale per coordinare le ricerche delle centinaia di persone di cui non si sa più nulla dopo un naufragio o un salvataggio in extremis. È già successo in passato che una persona, anche un minore, dato per disperso in mare, in realtà fosse sbarcato in un altro porto. Una procedura ufficiale, da mettere in rete in un secondo momento al livello europeo, che dia informazioni precise sulla identità dei migranti morti o scomparsi servirà non solo a fornire una fotografia attendibile della situazione alle nostre autorità, ma anche alle famiglie dei migranti per facilitare la dolorosa ricerca dei propri congiunti.
  • Non possiamo inoltre ignorare che l’Italia è un paese di destinazione, di transito e di origine per donne, bambini e uomini vittime del traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo. È certamente indispensabile un’intensa cooperazione all’interno e all’esterno dei confini dell’Unione europea per contrastare il traffico e la tratta di esseri umani, ma proprio per questo il nostro Paese deve assicurare la piena attuazione e operatività della direttiva n. 2011/36/UE garantendo, in termini di risorse finanziarie e umane, i servizi attivati nel corso degli anni per proteggere e aiutare le vittime di tratta ad uscire dal buio della violenza e dei soprusi subiti. È urgente, inoltre, che il Governo approvi il Piano nazionale anti tratta, per consentire lo sviluppo dei progetti di tutela delle vittime, ed evitare di palesare l’inadempimento del Governo di obblighi di carattere internazionale. Per raggiungere maggiore consapevolezza e conoscenze precise dei fenomeni, sarebbe inoltre utile istituire una commissione parlamentare di inchiesta, per la durata di sei mesi, sul traffico di esseri umani e sulla tratta di persone, comprese le conseguenti forme di sfruttamento sessuale e lavorativo, con l’obiettivo di raccogliere i dati aggiornati e dettagliati necessari per l’individuazione di soluzioni legislative innovative più efficaci e rispettose dei diritti umani fondamentali.
  • In questa legislatura è entrata in vigore la nuova legge sulla cooperazione internazionale. La riforma, attesa da più di vent’anni, definisce una nuova architettura di “governance” del sistema della cooperazione, per meglio raggiungere gli obiettivi nello sradicamento della povertà, nella riduzione delle disuguaglianze, nell’affermazione dei diritti umani e della dignità degli individui. In un anno cruciale per la cooperazione allo sviluppo, l’Italia non deve maturare ulteriori ritardi nell’implementazione della legge e nell’operatività della nuova struttura di gestione. Secondo l’ultimo rapporto OCSE, infatti, il nostro Paese continua ad abbassare la media europea negli stanziamenti per l’aiuto allo sviluppo. Per il PD, è fondamentale che l’istituenda Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo, sia messa in condizione, già a partire dal prossimo esercizio finanziario, di intervenire per avvicinare l’Italia agli impegni e gli obiettivi assunti a livello europeo e internazionale. La sfida è di attuare politiche migratorie e di sviluppo che mettano in primo piano le ricadute che le stesse politiche possono avere anche negli stati di origine della migrazione.

È proprio qui ed è proprio adesso che l’Unione europea deve dimostrare alla comunità internazionale, e soprattutto a sé stessa, di essere in grado di sostenere una politica estera comune, condivisa e compatta. Le politiche del PD ambiscono ad innalzare l’Unione a punto di riferimento nella gestione dei flussi migratori. Politiche il cui scopo non sia quello di contenere i problemi, ma che al contrario puntino ad affrontarli e risolverli alla radice. Una politica che, se vorrà raggiungere gli obiettivi posti, non potrà fare a meno dell’impegno, dell’esperienza e della competenza italiana. L’Italia deve e dovrà giocare un ruolo strategico di primissimo piano. Proprio qui e proprio adesso.

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