Di VB
L’ultimo Consiglio dei Ministri della Difesa di Francia e Germania si è concluso con la pubblicazione di un Comunicato che delinea una cooperazione futura sorprendente per ampiezza e profondità. Il risveglio del motore franco-tedesco e’, in generale, una buona notizia per la difesa europea: senza di loro, non si fanno passi avanti. E’ pertanto da valutare positivamente che Parigi e Berlino abbiano deciso di formalizzare il rilancio dei rapporti proprio mentre sono in discussione, a Bruxelles, numerose iniziative politiche che hanno bisogno di sostegno e sollecitazioni da parte degli Stati membri.
Tuttavia il motore franco-tedesco, per essere realmente efficace, non deve essere mandato fuori giri – e a vedere i risultati di quest’ultimo accordo sembra che questo sia il rischio che corriamo attualmente. La sostanza del Comunicato, in pratica, è la seguente: Francia e Germania si impegnano a promuovere una radicale convergenza delle proprie politiche industriali della difesa. Grazie alla posizione di assoluta preminenza così conseguita, Francia e Germania orienteranno lo sviluppo delle capacità militari europee, assegnando alla propria industria un ruolo primario e a quelle degli altri Stati quello di subcontractor (ben che vada). Quando Macron ha lanciato il suo slogan “L’Europe, c’est nous!”, intendeva forse “Io e Angela”?
Il comunicato
Le conclusioni del Consiglio toccano diversi temi: la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), sulla quale Francia e Germania avrebbero dovuto pubblicare un paper di cui ancora attendiamo l’uscita; cooperazione in ambito operativo nel Sahel e nella NATO; sicurezza e terrorismo.
La parte realmente impressionante è però quella relativa allo sviluppo di capacità militari. I due Paesi annunciano la creazione di un gruppo di lavoro di alto livello che definirà “una visione comune delle nostre ambizioni industriali in materia di sistemi terrestri”. Il comunicato parla esplicitamente di un carro armato e di un sistema di artiglieria di nuova generazione, progetti che saranno aperti anche alla partecipazione di altri Paesi europei “una volta raggiunto un certo livello di sviluppo” (traduzione: noi li facciamo secondo i nostri requisiti e necessità, voi li comprate).
Si parla poi di un “velivolo da combattimento europeo […] che rimpiazzerà nel lungo termine le flotte attuali”. Velivolo di sesta generazione, dunque, che sarà sviluppato sì a livello europeo, ma “sotto la direzione dei due Paesi” (traduzione: noi facciamo le parti pregiate, voi il resto: e poi li comprate). Da qui a metà 2018 dovrebbe concretizzarsi un piano di sviluppo.
Poi, importantissimo: Francia e Germania lavoreranno su “priorità comuni da finanziare tramite il futuro Programma Europeo per la Ricerca in materia di Difesa”, cioè con fondi comunitari, per “ottimizzare i finanziamenti comuni ed evitare la concorrenza tra i due Paesi” (traduzione: le cose di cui sopra le sviluppiamo noi, ma il costo lo paghiamo tutti). Ci saranno anche una strategia ed un piano industriale comuni per l’innovazione in materie quali intelligenza artificiale, la robotica, etc., e una cooperazione strutturata tra i comandi cyber dei due Paesi che permetta la creazione di sistemi di cybersicurezza comuni per i sistemi sviluppati congiuntamente. E poi un nuovo missile aria-terra, il prossimo elicottero Tigre, l’Eurodrone..
E noi?
Non è affatto certo che questo progetto, davvero ambizioso, si sviluppi effettivamente come previsto dal Comunicato: siamo ancora a livello di dichiarazioni di intenti, e nella politica i piani di lungo periodo spesso si trasformano in divenire. Bisognerà attendere almeno i prossimi mesi per vedere se i due Paesi hanno intenzioni serie.
Ma se succedesse, l’Italia si troverebbe in una situazione delicata sia dal punto di vista politico-strategico che industriale. Le nostre priorità in termini di sviluppo di capacità militari a livello europeo verrebbero messe in un angolo, mentre sarebbero imposte quelle decise dalla coppia franco-tedesca: alla nostra industria, esclusa dallo sviluppo delle componenti di maggior rilievo tecnologico, rimarrebbero solo le briciole del mercato europeo, e nel medio-lungo periodo si troverebbe depauperata di capacità industriali e di innovazione.
E’ evidente quindi che l’Italia dovrebbe reagire. Ma come? Ci sono diverse alternative. La prima è quella di tentare di farsi accettare come partner paritario dalla coppia franco-tedesca, trasformandola così in un triumvirato. Strada difficilmente praticabile: Parigi e Berlino dovrebbero accettare di dividere con un terzo partner il bottino grosso della difesa europea, e già avranno difficoltà nel dividerselo tra loro (avendo entrambe industrie mastodontiche, e fameliche). E in ogni caso l’accordo pare già fatto, la via segnata.
La seconda è quella di costruire un “contro-direttorio” in grado di controbilanciare la coppia franco-tedesca. Opzione che pare velleitaria, per la semplice ragione che non c’è un partner cui appoggiarsi. La Gran Bretagna si è tagliata fuori dal consesso europeo e non avrà né voce né tantomeno potere decisionale in ambito politico comunitario: la sua industria rischia di essere tagliata fuori dalle supply chains continentali (e dai fondi di ricerca comunitari). La Spagna non è neanche lontanamente forte abbastanza. Altri non ce ne sono.
La terza opzione è, realisticamente, quella che appare più percorribile. L’Italia dovrebbe farsi alfiere di una soluzione europea, all’interno della quale diluire l’accordo franco-tedesco coagulando attorno a sé tutti gli Stati membri. Questo significa insistere sull’utilizzo degli strumenti intergovernativi previsti dai Trattati, che garantiscono voce eguale a tutti i Paesi europei, per spingere avanti un processo di integrazione della difesa guidato dagli Stati membri. Ricordare, ad esempio, che lo sviluppo di capacità militari europee dovrebbe essere coordinato sulla base di strumenti come il Capability Development Plan, approvato ed influenzato da tutti gli Stati nel contesto dell’Agenzia Europea per la Difesa. Strumenti, insomma, che tolgano il volante dell’integrazione dalle mani di Parigi e Berlino per riportarlo in seno al consesso europeo. Sarà importante anche fare molta attenzione allo sviluppo del Fondo Europeo per la Difesa, evitando che le priorità vengano decise dalla Commissione (dove la presenza francese e tedesca è più influente) ed ancorandolo invece saldamente nella dimensione intergovernativa.
Nelle prossime settimane e mesi, dunque, Governo e Parlamento farebbero bene a seguire con rinnovata attenzione lo sviluppo delle varie iniziative politiche attualmente in divenire, per poter intervenire dove opportuno al fine di evitare una marginalizzazione dell’intero comparto difesa che sembra implicita nel progetto franco-tedesco. Che Parigi e Berlino vogliano spingere avanti l’integrazione della difesa europea è un’ottima notizia: che lo facciano, però, insieme e non a discapito del resto dell’Unione Europea.