L’assenza di ogni riferimento all’Unione Europea nella Integrated Review del Regno Unito – documento programmatico della politica estera britannica pubblicato ad inizio 2021- ha sorpreso più di un analista. Infatti, se i continui riferimenti del governo conservatore guidato da Boris Johnson ad una “global Britain”, e la ‘politica’ di Brexit, lasciavano presagire una svolta in questa direzione, nessuno si aspettava una posizione così netta: Il documento manca di qualsiasi riflessione su come interfacciarsi con l’Unione su temi di politica estera.
Ma quali sono le prospettive a lungo termine per una possibile cooperazione UE-UK in materia? Le mutevoli condizioni del sistema internazionale e i vantaggi reciproci fanno pensare ad una probabile collaborazione fra le parti. Una partnership nel campo della difesa e sicurezza infatti, potrebbe facilmente essere vista come un gioco a somma positiva. I legami storici e strategici, nonché le imponenti risorse britanniche nel campo della difesa – UK rappresentava circa il 25% delle spese di difesa UE- potrebbero giustificare la formulazione di un accordo ad hoc. Ad esempio, l’Unione potrebbe considerare di invitare il Regno Unito ai meeting del Consiglio Affari Esteri qualora si discutano temi PSDC, in una sorta di formato ‘EU27+1’. L’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune potrebbe infatti rappresentare un ottimo punto d’inizio, data la sua natura intergovernativa e la flessibilità offerta dai suoi strumenti.
Un esempio calzante dell’attuale situazione è offerto dalle relazioni dell’ultimo anno dei due attori con Mosca. Infatti, nonostante la tanto discussa ‘svolta verso il Pacifico’, la Russia viene identificata nella Review come “la minaccia più acuta alla sicurezza britannica”, di un Regno Unito quindi, ancora strategicamente ancorato al continente. Il caso di Mosca, evidenziando i trend emergenti, può aiutarci a riflettere sulla futura cooperazione UE-UK, specialmente guardando a due temi: la minaccia cyber e le sanzioni.
Per quanto riguarda il primo, la Gran Bretagna era nettamente la prima potenza cyber nell’UE, al terzo posto al mondo secondo il ‘Cyber power Index’ del Belfer Center dell’Università di Harvard, davanti alla Russia stessa (4’), peraltro. Con Brexit gli Stati membri hanno così perso un leader in termini di risorse ed expertise, il Regno Unito, che tra l’altro si è da poco dotato di una nuova ‘National Cyber Force’ (NCF). Annunciata a novembre 2020, la nuova agenzia conterà più di 2000 operativi, provenienti dai servizi di intelligence e dalle forze armate. Quello del mondo cyber è quindi l’esempio di un campo nel quale Londra può permettersi di ‘fare da sola’, e dove gli alleati EU farebbero meglio a stare al passo, Italia compresa.
Al contrario, l’imposizione di sanzioni alla Russia è esemplificativa di interessi e metodi convergenti, che nel lungo periodo potrebbero – auspicabilmente- essere formalizzati in una cooperazione – anche minimamente- strutturata. Prendiamo ad esempio le sanzioni che hanno seguito l’avvelenamento di Alexei Navalny, ad ottobre 2021. Se è vero che Londra si è mossa in anticipo sanzionando Mosca – con sanzioni di tipo ‘Magnitsky’- già ad ottobre, mentre il consiglio UE ha atteso marzo 2021, va notato come entrambi abbiano, per la prima volta, introdotto sanzioni di questo tipo. È quindi interessante notare come, seppur con tempi diversi, sia UK che UE abbiano scelto lo stesso strumento per sanzionare Mosca, spingendosi oltre quanto fatto finora. Se, per loro natura, le sanzioni sono più efficaci tanto maggiore è il numero degli Stati che le impone, per la Gran Bretagna del dopo Brexit sarà quindi fondamentale procedere di comune accordo con i 27 per futuri regimi sanzionatori. Ancora una volta, un regime di co-implementazione ‘EU27+1’ sembrerebbe uno scenario auspicabile e le aspettative sono alte.
Se per il governo Johnson Brexit significa guardare oltre l’Europa, la realtà sembra bussare a Downing Street. Infatti, come evidenziato in un recente rapporto dell’EUISS (l’istituto per gli studi strategici dell’UE), la Gran Bretagna è destinata a rimane un cardine della difesa europea. Se, per ora, si è evidenziato un rifiuto di relazioni istituzionalizzate, nel lungo termine emergerà la necessità di riarticolare le relazioni diplomatiche in forma più strutturata, a partire da opzioni bi/tri-laterali su temi specifici. Di conseguenza, sia l’UE che UK dovranno ripensare le proprie ambizioni regionali e globali. Nelle parole dell’HR/VP Borrel: “con Brexit molto diventa più complicato. Quanto, dipenderà dalle scelte che entrambe le parti faranno”.
Per concludere, se Londra passa da un “europeismo pragmatico” a un impegno selettivo, con ambizioni e narrativa ‘globali’, l’Unione – e l’Italia- dovranno farsi trovare pronti: a cercare di coinvolgere il governo d’oltremanica quando possibile, ed il coordinamento sulla sanzioni potrebbe essere la scelta più ovvia. D’altra parte, nel sistema multi-polare post-Brexit, la Gran Bretagna per essere rilevante dovrà rendersi un membro indispensabile delle coalizioni di cui vuole far parte. Parallelamente, i 27 potranno continuare sulla strada di una maggiore integrazione europea in politica estera.