L’Unione europea era entrata nell’ultima legislatura decisa ad affrontare il grande tema strutturale della transizione ecologica. Il Covid prima e soprattutto la guerra dopo hanno però inflitto pesanti costi al nostro continente, mettendo a repentaglio le politiche green che l’Ue aveva imbastito.
Il rischio della “War fatigue”
La paura di molti esponenti politici, soprattutto se eletti con un’agenda politica conservatrice o populista, è che l’impatto economico della guerra in Europa possa “stancare l’opinione pubblica”. A settembre solo il 65% (vs. 80% ad Aprile 2022) dei cittadini europei vedevano con favore il supporto finanziario per l’Ucraina. E le preferenze della popolazione iniziano a pesare sulle scelte politiche dei governi europei. Basta guardare alla Polonia, uno dei più convinti sostenitori di Kyiv la cui campagna elettorale ha generato polemiche sulle importazioni di grano dall’Ucraina (un tema cruciale per il voto dei contadini polacchi) e addirittura interrompere temporaneamente l’invio di aiuti militari . La ‘fatigue’ dell’opinione pubblica si fa sentire anche oltreoceano, dove l’ala più radicale del partito Repubblicano al Congresso statunitense si è opposta all’invio di ulteriori aiuti a Kyiv .
La ‘fatigue’ industriale che rallenta il Green Deal europeo
L’impatto economico della guerra sta complicando l’attuazione delle politiche verdi dell’Unione Europea, mentre i costi del conflitto rischiano di far deragliare le iniziative che avevano trovato consenso politico durante gli anni dei tassi di interesse bassi, della deflazione e dell’energia a basso costo. La competitività industriale europea ha già sofferto a causa dell’aumento esponenziale dei prezzi dell’energia[AF1] generato dal conflitto con la Russia, portando alcuni governi a fare marcia indietro sulla transizione verde che, almeno nel breve periodo, aumentere ulteriormente i costi della produzione industriale. Insieme ad un gruppo di Paesi europei, la Germania e l’Italia si sono opposte al bando UE dei motori a combustione nel 2035, ottenendo delle proroghe per proteggere gli interessi dei grandi produttori di auto. Il Regno Unito ha ad esempio deciso di rivedere e ricalibrare i propri piani di transizione verde, mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto a Bruxelles una “pausa normativa” sulla legislazione ambientale. Ancora una volta è la Polonia ad essersi spinta oltre, facendo causa alla Commissione Europea, e chiedendo l’annullamento di varie misure all’interno del ‘Green Deal’.
Il superciclo elettorale europeo sta alimentando la popolarità di quei partiti, per lo più appartenenti ad una destra conservatrice o estrema, che si fanno portatori di questi fenomeni di fatigue economica e sociale, proponendo misure che prioritizzano la crescita economica domestica a discapito degli obiettivi europei di transizione verde e di politica estera. La correlazione fra isolazionismo e ostilità alla transizione è spesso lampante. Dopo aver vinto le elezioni a settembre, il nuovo governo slovacco ha ad esempio condiviso l’appello del Primo Ministro ungherese Viktor Orban di porre fine agli aiuti militari a Kyiv, nominando al contempo un Ministro dell’Ambiente noto per le sue controverse dichiarazioni sul cambiamento climatico. In Germania, il partito di estrema destra Alternative für Deutschland è diventato il secondo partito per popolarità, anche grazie alla sua opposizione alle politiche energetiche ed ambientaliste dell’attuale governo. È evidente che questa tendenza pan-europea possa creare dei cortocircuiti a livello comunitario. In Olanda, dove si terranno nuove elezioni generali a fine mese, il partito anti-establishment New Social Contract (attualmente primo nei sondaggi) propone di sottomettere il processo legislativo europeo all’opinione del parlamento olandese per evitare – tra le altre cose – il passaggio di misure ambientaliste che possano danneggiare gli interessi degli agricoltori.
Non si può tornare indietro – solo avanti
La guerra in Ucraina ha provocato una stanchezza negli elettori che rischia di far deragliare la transizione ecologica, i cui costi saranno comunque destinati a crescere nei prossimi anni. I movimenti populisti legano i due temi promettendo un ingannevole “ritorno alla normalità”, quando i governi europei devono invece continuare a investire strategicamente in settori dell’economia che promuovono contemporaneamente gli obiettivi di crescita, la sicurezza energetica e la transizione verde. Bruxelles deve lavorare per garantire l’allocazione – ed eventualmente l’espansione – di fondi comuni europei (Net-Zero Industry Act, Critical Raw Materials Act) per lo sviluppo di tecnologie verdi, incluse misure di efficienza energetica, fonti energetiche rinnovabili e mobilità sostenibile. Queste misure godono di supporto popolare: dopotutto, il 75% dei cittadini crede che la transizione energetica sia un’opportunità di crescita economica. Come obiettivo a breve termine è dunque essenziale che Roma porti avanti il piano di riforme necessarie per sbloccare le prossime rate del PNRR, delle quali il 31,5% verrà dedicato appunto all’economia verde.
È infine cruciale non cedere alle istanze di quei esponenti politici che addossano al sostegno all’Ucraina le colpe dell’attuale malessere economico. Un’Europa economicamente sana può prosperare solo in un quadro di sicurezza stabile, e le conseguenze economiche del conflitto poco hanno a che fare con problemi pregressi dell’economia europea, come ad esempio le varie dispute transatlantiche in corso (i dazi americani sul ferro e l’alluminio o gli effetti delle misure protezionistiche dell’Inflation Reduction Act sono temi sui quali sarà importante rafforzare la cooperazione con Washington). È fondamentale che l’Ue lavori sulla dimensione economica e di transizione ecologica e allo stesso tempo disinneschi il cortocircuito populista sulla guerra, sbloccando nuovi fondi in supporto all’Ucraina per il 2024 nel prossimo Consiglio europeo, oltre che concretizzando il piano per l’adesione di Kiev all’UE.