L’opportunità irripetibile di SURE

Gli acronimi, croce e delizia dell’Unione Europa. L’ultimo arrivato è SURE, per “Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”. Si tratta di uno strumento proposto dalla Commissione per attenuare gli effetti della pandemia da Covid-19 sul mercato del lavoro e sui redditi dei lavoratori dipendenti, autonomi, pescatori e agricoltori. Finanzierà, a livello europeo, gli strumenti di sostegno al reddito e  di riduzione dell’orario di lavoro che gli Stati membri più esposti alla pandemia hanno già predisposto nelle scorse settimane, con pesanti aggravi di spesa pubblica. Ursula Von Der Leyen ha parlato di una dotazione finanziaria di “100 miliardi per mantenere le persone nei loro posti di lavoro e sostenere le imprese”.

Nel dettaglio, lo strumento – temporaneo – dovrebbe funzionare come una cassa integrazione europea, la prima della storia, supportando le imprese e tutelando i posti di lavoro a rischio.I lavoratori si vedrebbero ridotto l’orario di lavoro, senza perdere la parte di retribuzione delle ore non lavorate. In queste ore libere, i lavoratori potrebbero frequentare corsi di formazione.

Il meccanismo SURE si baserà su garanzie nazionali per un valore fino a 25 miliardi, che consentiranno alla Commissione di emettere Bond tripla A, girati successivamente tramite prestiti agli Stati membri. In sostanza, la concretizzazione dei tanti demonizzati Eurobond.

I fondi SURE dovrebbero essere disponibili in tempi relativamente brevi, luglio o più tardi settembre. Nei piani della Commissione, lo strumento dovrebbe essere un antidoto alla disoccupazione e alla tempesta d’autunno che potrebbe dilaniare il mercato del lavoro nei paesi più colpiti dal virus, su tutti l’Italia. Un’ipotesi al vaglio del Governo italiano è quella di utilizzare i fondi SURE per rifinanziare la Cassa Integrazione in Deroga e bloccare fino alla fine dell’anno i licenziamenti. Una possibilità concreta e ragionevole, che potrebbe aiutare il nostro paese ad affrontare la crisi sociale e occupazionale che, inevitabilmente, attende il sistema Italia alla fine dell’Estate.

Di un Sussidio Europeo di Disoccupazione si parlava da tempo. Nel 2016 fu il Governo italiano, con il Ministro dell’Economia Padoan, a proporre l’istituzione di un fondo comune europeo per creare un sussidio di disoccupazione da elargire ai lavoratori che restano senza occupazione dopo shock economici che colpiscono i loro paesi. Ora che la Cassa integrazione europea sembra diventare realtà (anche se si tratta di uno strumento temporaneo e non strutturale), è auspicabile non sprecare l’occasione e intervenire sul sistema di protezione sociale dei lavoratori e il loro reinserimento nel mercato del lavoro, primariamente in Italia dove questi meccanismi sovente non sono sufficientemente efficaci né efficienti.

Se non ora quando, verrebbe da dire. Storicamente, l’Italia ha sempre perseguito la protezione del reddito dei lavoratori e la salvaguardia dell’occupazione, piuttosto che il suo ricollocamento nel mondo del lavoro. I principali ammortizzatori sociali quali l’indennità di disoccupazione NASpL e la Cassa Integrazione Guadagni (che sia Ordinaria – CIGO – o straordinaria – CIGS) rispondono a questa logica.

L’approccio comunitario alle politiche attive del lavoro è differente. L’Unione, in materia, si è innanzitutto dotata di uno strumento di coordinamento delle sue diverse politiche occupazionali, la Strategia Europa 2020.

Gli scopi principali di questa strategia sono la creazione di opportunità occupazionali per giovani e donne e il reinserimento lavorativo nel mercato del lavoro dei disoccupati. Questi obiettivi sono perseguiti principalmente attraverso i vari strumenti che costituiscono il Fondo Sociale Europeo. La misura più nota è la Youth Guarantee, programma rivolto ai giovani fino a 30 anni per consentire ragazzi che non studiano né lavorano (i cosiddetti Neet) di frequentare un corso di formazione o vivere esperienze lavorative con tirocini retribuiti. Fino ad ora, quindi, l’obiettivo dell’Unione Europea è stato sostenere l’occupazione e creare nuovi posti di lavoro e opportunità per i propri cittadini. SURE, pur se in misura temporanea, va invece nella direzione della salvaguardia di posti di lavoro e nel mantenimento degli attuali livelli occupazionali. Dal punto di vista delle politiche occupazionali, l’approccio europeo alla pandemia è quindi più vicino alla tradizionale risposta italiana.

Nell’era post Covid-19, un ruolo fondamentale per rilanciare l’occupazione e salvare i posti di lavoro a rischio sarà svolto dalla formazione professionale.

Il Governo italiano ha istituito – con il Decreto rilancio ( art. 88 Decreto-Legge 19 maggio 2020 n. 34)  un Fondo Nuove Competenze, per permettere alle aziende di rimodulare l’orario di lavoro e consentire ai lavoratori di frequentare corsi di formazione. E’ un provvedimento opportuno, ma non basta.

Occorrono provvedimenti capaci di guardare anche a chi, fino ad ora, è rimasto ai margini del mercato del lavoro e per cui la pandemia ha peggiorato le prospettive di un inserimento lavorativo.

Larghe fette della popolazione italiana (giovani sopra i 30 anni, donne, principalmente al Sud) non trovano sbocchi lavorativi. Le regioni (che hanno competenza esclusiva in materia di Formazione professionale) prevedono corsi gratuiti  di formazione, anzi in alcuni casi con una diaria per i corsisti. L’offerta di corsi di formazione risulta elevata. Tuttavia, la qualità risente di fondi insufficienti e materie di corsi inadatti alle richieste del mercato e alle peculiarità dei territori.

Nell’immaginare il mondo dopo la pandemia, si parla principalmente di ambiente e turismo, un nuovo turismo.

Allora perché non partire da questi settori e formare – anche con i fondi SURE – nuove professionalità, guardando magari all’economia circolare, al turismo sostenibile e al recupero dei borghi appenninici italiani?

Al di là dei ragionamenti sulle politiche attive e su un’auspicabile riforma dei sistemi di sostegno al reddito, non si può non riconoscere – dal punto di vista politico – il grosso passo in avanti che l’Integrazione europea compie, su spinta dei progressisti.
L’indennità di disoccupazione europea era nel programma del PD alle elezioni europee dello scorso anno ed è diventato – successivamente- un punto programmatico del gruppo dei Socialisti e Democratici tanto che Ursula Von Der Leyen ha esplicitamente fatto riferimento all’indennità europea di disoccupazione nel suo programma.
Oggi, in risposta alla crisi, grazie all’impegno del Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni, l’idea dell’indennità di disoccupazione europea diventa realtà e, seppur strumento temporaneo, si spera possa diventare strutturale.
Oltre a SURE la Commissione ha proposto il pacchetto NextGenerationEU da 750 miliardi, di cui l’Italia sarà il primo beneficiario e che includerà anche un programma di investimenti senza precedenti denominato InvestEU.

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